“Dicono che il patriottismo sia l’ultimo rifugio a cui si aggrappa un farabutto”, dice in un verso di una sua canzone Bob Dylan, prendendo in prestito la frase del saggista e lessicografo britannico Samuel J. Johnson, uno dei più illustri studiosi di lingua, autore del primo e fondamentale Dictionary of the english language. Cosa avranno pensato gli ormai pochi americani che vanno fieri del patriottismo su cui venne costruita la loro nazione, liberandosi del dominio coloniale inglese, quando durante l’assalto a Capitol Hill la figlia di Donald Trump, Ivanka, ha twittato ““Patrioti americani – qualsiasi violazione della sicurezza o mancato rispetto per le nostre forze dell’ordine è inaccettabile. La violenza deve finire subito”. In seguito alle proteste per il suo post che definiva quel manipolo di cialtroni “patrioti”, lo ha cancellato sostituendolo con un altro, pensando fosse più innocuo: “La protesta pacifica è patriottica. La violenza è inaccettabile e deve essere condannata con la massima fermezza”. Il giorno della sua proclamazione, Trump tra le altre cose aveva proclamato “la giornata del patriottismo”. Nel settembre 2019 aveva proclamato la necessità di una “istruzione scolastica patriottica”. Ci si attacca al patriottismo quando non si è portatori di alcun valore, “l’ultimo rifugio di un farabutto” perché manipolabile come si vuole, eccitando e incitando gli animi più semplici e, anche, ignoranti (inteso non come un insulto).



Sbaglia chi ha sempre creduto che Donald Trump sia un patriota, un repubblicano convinto. Si è semplicemente servito di un guscio da exploitare per affermarsi come personalità politica, essendo, politicamente, un nulla totale. Con Donald Trump si sono avverate tante tragiche profezie di scrittori e anche cineasti degli ultimi decenni di un potere che non ha più alcuna appartenenza ideologica e valoriale, quello dell’uomo solo alla guida che noi europei conosciamo bene, ma che era inedito negli Stati Uniti. Trump è il rappresentante di quel capitalismo privo di ogni decenza e rispetto per il bene comune che ha affossato l’economia mondiale a partire dal 2008, lui che come imprenditore è sempre stato un fallimento dichiarato riuscendone però a uscirne sempre da vincitore grazie a manovre illegali e indegne. E’ una figura dal cinismo esasperato, diabolico, schizofrenico, ben descritta da Massimo Recalcati in un articolo su La Stampa dello scorso novembre: “L’ottusa negazione della pandemia da parte di Donald Trump non è dal punto di vista psicologico diversa dalla negazione dei risultati elettorali che sanciscono la vittoria del suo rivale. Quello che accomuna queste due negazioni è la difficoltà dell’ormai ex presidente di tenere conto di fatti spigolosi che non si piegano all’immagine ideale di se stesso che egli rincorre affannosamente nello specchio del suo narcisismo. Egli è costretto a negare, contro ogni prova di realtà, tutto ciò che non coincide con l’affermazione incontrastata del proprio ego (…) egli ha confuso sistematicamente e totalmente questi due registri. Il suo insediamento alla Casa Bianca non è stato mai vissuto nel segno di una assunzione di responsabilità di fronte al proprio Paese, ma in quello di una appropriazione delle leve del suo comando. É la caratteristica di ogni versione autoritaria e antidemocratica del potere. Con la conseguente denigrazione delle istituzioni e dei loro dispositivi vissuti solamente come ostacoli all’esercizio del suo diritto esclusivo di proprietà (…) Il suo modo di esercitare il potere si è nutrito dei suoi fantasmi più privati: patriottismo, nazionalismo, razzismo, sessismo, fallicismo, arroganza, vendicatività”.



Quello che è andato in scena a Capitol Hill, con le sue figure pittoresche, l’assurda invasione di personaggi che camminavano in ordinata fila indiana fotografando i soffitti badando bene a non rovesciare i cordoni di sicurezza del percorso turistico del parlamento americano, è stata la prova generale di quello che Trump ha sempre avuto in mente. Forte della sua vittoria di 4 anni fa e degli oltre 40 milioni di americani che lo hanno votato nel 2020, sta lanciando il suo partito personale che non avrà niente a che fare con quello repubblicano. L’onorevole partito dell’elefantino che, ricordiamoci, era quello di Abramo Lincoln, partito che combattè per l’abolizione della schiavitù, perderà la stragrande maggioranza dei suoi appartenenti ed elettori. Il diabolico piano di Donald Trump ha avuto effetto. Si è visto nelle coraggiose prese di posizione di tanti onesti repubblicani, dal vice presidente Mike Pence che ha avuto il coraggio di ordinare la mobilitazione della Guardia Nazionale, cosa che per legge spetta solo al Presidente della Repubblica, ma che Trump si è guardato bene di fare; dalle parole dell’ex presidente George W. Bush che ha chiamato per nome quello che stava accadendo, cioè una “insurrezione”. E tanti altri. Ma sono voci ormai inascoltate nel popolo americano.



Trump è riuscito a spaccare l’America come mai successo nella sua storia. Potrà costruire un potentissimo partito populista che avrà la chance di ridargli fra 4 anni la presidenza, contando su tutti i delusi, gli arrabbiati, gli incoscienti d’America che credono in lui come in una sorta di messia perché non hanno più nulla a cui aggrapparsi. E in questo nulla, c’è la colpa degli stessi repubblicani e dei democratici. Ha tantissime persone da cui raschiare voti, anche quei cattolici che lo hanno votato perché “lui, almeno, a differenza di Biden, è contro l’aborto”. Perché le fake news che Trump ha sempre attaccato, in realtà le ha usate sempre lui per primo, per ingannare. Dell’aborto glie ne può fregare di meno, è solo un modo per raschiare voti là dove sa che degli ingenui glieli possano dare.