Matteo Renzi, da buon conoscitore della storia politica del Paese, avrà già compreso che la sua situazione ha precedenti noti. E da lui stesso applicati. La conventio ad excludendum è dura da sopportare. Lo fu per il Msi prima ed il Pci poi, entrambi impossibilitati al Governo del Paese per decenni. Ma lo fu pure per le forze di estrema sinistra, sue volute (da lui) avversarie quando era presidente della Provincia di Firenze.



Giovanissimo, aveva già in antipatia verdi e sinistra in generale, tanto da tenerli fuori da ogni accordo per la sua giunta. Nonostante il suo partito ne fosse alleato a livello nazionale. Più di vent’anni fa, certo. Ma Matteo lo ricorda bene. E  sa che il potere di escludere è molto più efficace del potere di governare.



Per uscire dall’impasse ha bisogno del suo pragmatismo. E di quello del suo acerrimo amico Letta. Entrambi sono stati allevati alla fonte del Governo, dalla storia e tradizione democristiana (La Pira, Fanfani, Andreatta, Prodi) tutti  pronti ad accopparsi ad ogni congresso e pronti a governare il Paese assieme subito dopo. Con ruoli diversi, certo, ma assieme. Ed Enrico e Matteo in fondo al cuore hanno uno scudo con la croce.

Perciò per spezzare l’assedio Renzi deve tenere il punto della sua forte candidatura (mai farsi pecora sennò il lupo ti sbrana) nei collegi dove può far più male. Non per essere eletto, ma per far perdere al Pd quei collegi che Letta  sente essenziali per la sua sopravvivenza. L’annuncio della candidatura in ben cinque circoscrizioni (Firenze, Roma, Milano, Torino e Napoli) va in questa direzione. Renzi sa che i renziani sono innamorati e fedeli (per quanti pochi) e che la sua presenza può togliere quanto basta per far dolore agli avversari.



Inoltre ha in mano la carta del “patto atlantico”, ovvero la sua certa relazione con gli ambienti internazionali che vedono nel centrodestra un’alleanza ambigua. Letta ha già fatto comprendere che se le cose andranno male farà altro, ma altro di livello. E dovrà almeno giustificare la sconfitta in quegli ambienti. Perciò tenta di lasciare il campo nel caos (con maggioranze incerte) e cercare altrove riparo se non vincerà ma otterrà un buon pareggio.

Ma se le cose andranno male solo per qualche punto percentuale (e quei punti fossero renziani) Letta ne pagherebbe lo scotto. A certi livelli non contano le inimicizie ma i risultati.

Inoltre la pattuglia renziana è molto più di sinistra dei calendiani. A partire da Scalfalotto, passando per la Boschi ci sono personalità di indubbio livello. Gente che di politica ha solo e sempre vissuto (o almeno lo fa da decenni),  professionisti (che in Renzi vedono quello più bravo) che non perdonerebbero a Matteo scelte umorali. E che apprezzerebbero di dover fare il 3 invece che il 5% per essere eletti. Il Capo avrebbe fatto il suo.

Perciò è probabile che nei prossimi giorni si senta il richiamo della foresta scudocrociata e i due – Renzi e Letta – si acquietino smettendo di darsele per qualche settimana. Non serve un annuncio altisonante, neppure un accordo al rialzo. Basta che si dica che i valori delle democrazie occidentali, dei diritti sociali e della difesa della posizione internazionale dell’Italia sono prioritari. Il resto verrà da sé. Se poi ci fosse la suggestione ulivista (che Renzi e Letta hanno praticato in gioventù) ne verrebbe fuori un buon pacchetto in cui tenere dentro anche la sinistra di governo e ambientalista. Renzi sa che come Sylvester Stallone la sua stagione del tutto esaurito al cinema è finita. Ma sa anche che con un buon remake a distanza di tempo può di nuovo riempire il box office del consenso. Le stagioni passano, del resto. Ed anche un vecchio jeans torna di moda a patto di saperlo conservare.

Perciò Renzi e Letta possono fare un’alleanza (anche più che elettorale), utile per entrambi, a cui dare un connotato evocativo. Un accordo di coalizione proto-ulivista, seppur più maturo. Matteo non porterà al suicidio decine di professionisti, che a differenza dei dimaiani (figli di un miracolo irripetibile), in politica voglio restarci. Il prezzo? Qualche deputato nei collegi rivendicati con la sua cardatura. Qualche senatore, tra cui lui. Il sacrifico dei 2/3 dei renziani oggi eletti. Quanto basta per vivere (deinde philosophari) e spezzare l’accordo escludente di cui si è reso vittima. Ma questa è un’altra storia.

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