È un sodalizio tra i più longevi del cinema d’azione recente quello tra il regista Guy Ritchie e l’attore Jason Statham, cominciato nel 1998 con Lock and Stock e proseguito fino a oggi con l’arrivo su Prime Video del loro quarto film insieme, La furia di un uomo.
Remake del francese Cash Truck (disponibile su Netflix), il film racconta le vicende di Patrick, detto H, un uomo silenzioso e misterioso che viene assunto da una ditta di trasporto valori dopo un agguato in cui hanno perso la vita alcuni dipendenti. Quando anche il convoglio di H è assalito e l’uomo sventa la rapina da solo, uccidendo tutti i rapinatori, diventa chiaro che Patrick non è un impiegato comune e che ciò che nasconde rischia di mettere tutti in pericolo.
Ritchie, assieme a Ivan Atkinson e Marn Davies, scrive un noir del tutto distante dal proprio stile guascone e un po’ cialtronesco: fin dagli ottimi titoli di testa e dall’incipit a inquadratura fissa, La furia di un uomo ha un’apparenza seria e posata, i dialoghi hanno lo stesso ritmo tambureggiante dei film che hanno reso noti i film del regista, ma in un contesto diverso, senza il bisogno di iperboliche battute o rimasugli di tarantinismo.
Ritchie stavolta guarda ai film di Michael Mann, togliendogli le ambizioni e restando sulla superficie, si concentra sulla preparazione e la scansione ritmica delle azioni e del racconto e lascia a tutti i personaggi il mistero dei silenzi e delle azioni senza un movente, mistero che si svela passo dopo passo grazie a una costruzione narrativa complessa che però non dà mai l’impressione di essere una virtuosistica forzatura.
Lo stesso Statham, affiancato da una serie di comprimari duri e spietati, dalle facce e dal piglio giusti, nonostante resti fedele alle coordinate recitative a lui congeniali, comprime la sua interpretazione come volesse implodere, centellina lo sfoggio fisico e lascia che cresca un dolore privato dietro la scorza granitica.
La furia di un uomo è chiaramente un film costruito su stereotipi e cliché di comprovata efficacia, che non fa praticamente mai un passo oltre le convenzioni, ma in cui Ritchie trova una secchezza di tono, una serietà di metodo e una felicità di realizzazione quasi inaspettate, realizzando uno dei suoi film più onesti, un intrattenimento che non perde un colpo, nonostante qualche lungaggine che ormai, vista la durata media dei film, sembra far parte del gioco.
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