Venerdì – al termine della seconda settimana di guerra in Ucraina – il prezzo spot del gas ha avuto andamenti diversi a seconda dei mercati-baricentro. In Europa l’indicatore guida (il Dutch Ttf) è schizzato del 27% sui massimi storici, ad appesantire uno stratosferico rialzo annuale superiore al 1.100%. Si è incrementato anche il cosiddetto “Henry Hub”, segnalatore del prezzo del gas negli Usa, ma con uno spunto giornaliero del 4%, tenendosi ancora lontano dai suoi massimi e totalizzando un +81% dal marzo 2021. In Asia il JKM tra giovedì e venerdì è stato molto volatile: con rialzi e ricadute in parte di natura speculativa, tenendo alto il prezzo assoluto, ma al di sotto dei record europei.
Se qualcuno dubita ancora che la crisi russo-ucraina sia meno mondiale e più europea di quanto appaia – anzitutto in Europa – non ha che da seguire le curve del mercato del gas e non solo le cautele della Casa Bianca o i titoli dei newssites: dove – a parte New York Times e Washington Post – gli sviluppi dell’invasione russa continuano a meritare la seconda o la terza fila. Mentre i media internazionali chiudono le loro redazioni a Mosca e infuria il dibattito sulle fake news russe, una questione sembra restare comunque questa: come mai le informazioni sempre più rilevanti che provenivano dal mercato del gas sono state sottovalutate – almeno apparentemente – dai Governi occidentali prima che dai media?
In Italia – ma anche negli altri Paesi Ue – l’impennata del prezzo del gas ha cominciato a fare notizia soltanto in ottobre ed esclusivamente in chiave di extra-costi attesi sulle bollette energetiche: senza approfondimenti sulle cause della turbolenza socioeconomica che si andava ad aggiungere a tutte quelle provocate dalla pandemia. Quando il 6 ottobre scorso il Ttf ha sfiorato un primo massimo di 100 euro – quintuplicando il suo valore dall’inizio di maggio – aveva peraltro già “raccontato” molto, assieme all’HH.
Nella primavera 2021 entrambe le curve cominciano a salire con decisione, anche se a velocità diversa: a luglio quella europea segnala già un raddoppio, quella americana si è appesantita solo di un terzo. È di molti il sospetto che già allora la Russia abbia cominciato ad agire sul prezzo del gas in preparazione dell’invasione (Jessica Pisano, russologa di Harvard, pochi giorni fa su Politico sì è detta convinta che Vladimir Putin abbia avviato la pianificazione all’indomani della vittoria del pro-Nato Joe Biden su Donald Trump). Certamente almeno fino all’estate Cremlino e oligarchi dell’energia hanno potuto mimetizzarsi dietro la ripresa globale in corso dopo la seconda ondata Covid, che aveva schiacciato ai minimi storici anche il prezzo del gas. E presumibilmente, in una prima fase, la Russia ha privilegiato l’obiettivo economico di rigenerazione di risorse finanziarie dal suo principale bene-export.
Fra fine luglio e agosto due eventi scuotono un mercato del gas già in movimento. Il primo: Usa e Germania annunciano un accordo che accende una luce verde (anche se non piena) per Nord Stream 2 – il gasdotto baltico ormai ultimato – destinato a cementare in via strategica il ruolo russo di grande fornitore di energia all’Europa. Berlino – dov’è ancora in carica Angela Merkel, a soli due mesi dal voto – s’impegna a vigilare su eventuali usi “aggressivi” del gas contro l’Ucraina: come già avvenuto dalla guerra del 2014 in poi. Il mercato reagisce con relativa indifferenza, anche se il prezzo del gas non scende. Geopolitica e media riservano invece scarsa attenzione a una notizia considerata scontata e rassicurante.
A mettere in forte e visibile tensione i mercati è invece l’inizio della ritirata americana dall’Afghanistan. Fra metà agosto e metà settembre il Dutch cresce di due terzi, ma il gas s’impenna del 50% anche sul mercato Usa. Il neo-isolazionismo impresso agli Usa dall’Amministrazione Biden – anche a costo di un forte costo d’immagine a Kabul – è colto appieno dagli operatori. Sei mesi dopo non è invece ancora chiaro se e quanto la Russia abbia cominciato allora ad accentuare l’instabilità geopolitica, socchiudendo i rubinetti del gas e incassando comunque uno spettacolare rialzo dei prezzi, a spese principali della convalescente economia Ue. Ma le curve del mercato riservano anche successivamente spunti e interrogativi di pari rilievo.
Nella settimana precedente le elezioni tedesche i prezzi ricadono – di poco, ma in misura visibile – su entrambe le sponde dell’Atlantico. I sondaggi a Berlino restano incerti fino all’ultimo, ma il pronostico principale (nessun vero vincitore, Cdu-Csu ancora primo partito) sembra profilare una continuità di fatto favorevole a Nord Stream 2. La Germania invece punisce il partito di Angela Merkel e la vittoria del socialdemocratico Olaf Scholz – inattesa e di stretta misura – non tranquillizza affatto il mercato del gas: nonostante il garante della “pax energetica” fra Mosca e l’Occidente sia Gerhard Schroeder, l’ultimo cancelliere Spd a Berlino. Sia il Dutch che HH ingranano la massima marcia verso il top: in pochi giorni in Europa il gas arriva a costare sei volte rispetto ad aprile e in America più del doppio.
Nelle settimane successive – nei dintorni del G-20 di Roma – il gas si muove letteralmente sulle “montagne russe”, anche se nessuno attribuisce apertamente a Mosca la responsabilità di stare “militarizzando” le forniture energetiche. Pochi giorni fa il quotidiano francese Le Monde ha comunque riferito che in quei giorni è stato formato un “comitato di crisi” fra i responsabili dei servizi d’intelligence di Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia: con Washington quasi certa che il Cremlino avrebbe mosso su Kiev e gli europei assai più cauti. È d’altronde alle cronache come ancora all’inizio di novembre la crisi politica tedesca fosse in alto mare. Nessun stupore se il prezzo del gas sia stato molto nervoso – quasi di più in America – fino a che a Berlino si annuncia che il cancelliere sarà Scholz, alla guida di una maggioranza Spd-Fdp-Verdi.
Nei dintorni dell’insediamento del Governo “semaforo” il prezzo tocca dei minimi di periodo: nell’attesa – almeno dei mercati – che il faticoso equilibrio costruito da Biden e Merkel (di cui Scholz è stato vicecancelliere) e che la Spd “di Schroeder” sappiano tenere a bada l’arrivo al ministero degli Esteri di Annalena Baerbock, leader dei Verdi da sempre contrari a Nord Stream 2. Ma è una “quiete prima della tempesta”. Già prima di Natale per il gas è tempo di un super-rimbalzo verso nuovi massimi in Europa: quando ormai l’ammassamento di truppe russe al confine ucraino trapela sui mass media. Il resto è ancora cronaca, con qualche ultimo sospetto più spicciolo: che sul violento scossone registrato nei giorni a cavallo dell’inizio delle operazioni vi siano stati enormi profitti speculativi: il 16 febbraio il Ttf era sotto 70, il 24 era sopra 130, poi è ricaduto fin quasi a 90 sui primi colloqui di tregua, venerdì era a 204. Ma qualcosa di simile è accaduto anche a cavallo dell’11 settembre 2001. Sui mercati nulla è mai segreto fino in fondo.
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