Il grano torna prepotentemente alla ribalta nel conflitto russo-ucraino. Attorno al frumento si sta infatti combattendo una battaglia, in questo caso squisitamente economica, tra la Russia e l’Europa. E non solo. Perché anche all’interno dell’Unione si sono aperti nuovi fronti contrapposti.
Ma andiamo con ordine. La prima cattiva notizia è che Putin ha deciso di utilizzare ancora una volta il cereale per esercitare una pressione sull’Occidente. “La Russia sta nuovamente bloccando 50 navi nel Mar Nero con a bordo grano urgentemente necessario”. Necessario perché le navi sono dirette al sud del Mediterraneo e, quindi, verso i porti dell’Africa. Ovvero verso Paesi che dipendono da questi carichi per rispondere alle necessità alimentari primarie della propria popolazione. Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha assicurato via Twitter che “la Ue continuerà a lavorare per portare il grano ucraino nel mondo”, sostenendo gli sforzi delle Nazioni Unite e “continuando a facilitare le esportazioni attraverso le sue corsie preferenziali, che hanno portato 25 miliardi di tonnellate di grano nel mondo”.
Come detto, però, Mosca non rappresenta il solo fronte caldo. Nei giorni scorsi si sono registrate tensioni anche all’interno della Ue. Polonia e Ungheria, Romania e Slovacchia hanno annunciato di voler interrompere nei rispettivi mercati interni l’ingresso di grano ucraino, esentato da dazi doganali a seguito di una decisione di Bruxelles a suo tempo appoggiata dagli Stati membri. A spingere verso questa decisione, l’accumulo di scorte che ha causato nei tre Paesi Ue il crollo dei prezzi, scatenando le proteste dei lavoratori agricoli e persino le dimissioni del ministro dell’Agricoltura polacco.
A questa presa di posizione, però, è già seguita una mezza marcia indietro da Varsavia, Budapest e Bucarest. A dare principio alle “danze” è stato il nuovo ministro dell’Agricoltura polacco, Robert Telus, che ha stretto un accordo con Kiev sull’importazione del grano e di altri prodotti agricoli, delineando una soluzione di sostanziale compromesso: l’accordo consente infatti il transito del grano e di altri prodotti agricoli ucraini nel Paese. “Siamo riusciti a istituire meccanismi in grado di garantire che in Polonia non rimarrà nemmeno una tonnellata di grano e le merci transiteranno soltanto attraverso il Paese”, ha spiegato il ministro polacco. Per quanto invece riguarda il grano già presente nel Paese, “entro luglio – ha detto Telus – l’eccedenza di cereali, circa 4 milioni di tonnellate, lascerà la Polonia per fare spazio a un nuovo raccolto”. E sulla stessa linea si sono mossi anche gli atri tre Paesi.
L’intesa con Varsavia, Budapest e Bucarest sembra però solo accerchiare il problema, la cui soluzione passerà probabilmente dall’erogazione di sostegni concessi dall’Ue agli agricoltori europei che hanno subito ingenti perdite per il crollo delle quotazioni del grano. La questione rimane insomma aperta, anche perché “sul mercato europeo – precisa Coldiretti – sono in atto evidenti distorsioni commerciali nel settore dei cereali favorite dall’afflusso di grano ucraino che avrebbe dovuto essere invece destinato soprattutto a fronteggiare il pericolo carestia poveri del nord Africa e dell’Asia”. Così però non è stato. “Sono in atto speculazioni al ribasso – rileva Coldiretti – che in Italia hanno portato al crollo delle quotazioni del grano nazionale del 30% nell’ultimo anno, su valori che sono scesi ad appena 28 centesimi al chilo”.
Un’accusa cui in verità risponde Riccardo Felicetti, Presidente dei pastai di Unione Italiana Food (Uif): “Il grano – ha replicato all’Ansa – ha prezzi troppo fluttuanti e non è l’industria della pasta a determinare il prezzo del grano duro; a farlo è il mercato globale con meccanismi e quotazioni internazionali. Contrariamente a quanto viene spesso detto, il grano estero costa anche più di quello italiano (in media il +10%), soprattutto in questo momento storico particolare. Spiace che Coldiretti continui ad avanzare dubbi su presunte speculazioni, con il consueto intento di confondere i nostri consumatori”.
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