C’è stato un momento storico in cui gli economisti di tutto il mondo pensavano che la Cina sarebbe diventata il paese che avrebbe polarizzato l’economia globale ed è indubbio che con la crisi Ucraina questa realtà sia diventata più tangibile. Ma è davvero così? Cosa accadrà all’economia cinese dopo gli ingenti investimenti in Africa e gli accordi con Mosca?

Usa vs Russia: il primato di Pechino

Pechino riconferma nuove trattative di investimenti in Africa, un continente in via di sviluppo che vanta una crescita del PIL costante tra le più veloci al mondo, almeno per 16 stati del corno, mentre altri 14 stati rallentano. La media delle entrate del PIL dei paesi africani e del 2,5% l’anno. Per quei paesi la Cina è rimasto il partner commerciale più forte per 12 anni consecutivi con un piccolo il 2021 di 250,3 miliardi di dollari ed una crescita complessiva di 35,3 % su base annua l’Africa ha esportato 105,9 miliardi di dollari in merci verso la Cina un valore che è cresciuto del 43,7% rispetto all’anno precedente.
Il legame che unisce la Cina all’Africa costituisce sicuramente l’elemento principale a fondamento della bocciatura, da parte di alcuni stati del corno, della proposta di condanna dell’ invasione russa in Ucraina, durante l’assemblea delle Nazioni Unite. Di questi paesi solo 17 come l’Eritrea hanno votato contro, mentre 8 erano assenti. La Cina come sappiamo si è astenuta, ma qualche giorno fa ha dichiarato apertamente la sua posizione in favore della Russia, essendo caratterizzata prevalentemente da una volontà di non interferire nei paesi che stipulino con la Cina accordi commerciali.
La Cina ha quindi una visione opportunistica e pratica dei rapporti internazionali.

Usa vs Russia: confronto tra Cina e Occidente

Se a tutto ciò rapportassimo la crescita, o meglio, la decrescita del PIL dei paesi occidentali, non ultima l’Italia che non smette mai di rivedere al ribasso il PIL per il 2022 inizialmente stimato al 6,2 poi rivisto almeno del 4% e, in ultima analisi, una revisione al più 2,2% (quindi un calo significativo del 4% rispetto alle prime proiezioni di dicembre), il tutto associato ad un inflazione record pari al +5%, traguardo raggiunto soltanto negli anni ’80 che rischia di tagliare le risorse alle famiglie e alle imprese, minando il potere d’acquisto e la fiducia come accaduto già in Germania col crollo di ben 8 punti percentuali dell’indice Fto. E non si esaurisce la fantasia sui tavoli del governo per introdurre incentivi che frenino questa catastrofe economica. Tuttavia le misure per 10 miliardi di euro pare non riescono a far fronte ad una nuova recessione mai vista prima.
Dinanzi allo scenario recessivo che caratterizza l’Occidente, il PIL cinese risulta essere in crescita netta del 8,1% nel 2021 e con una stima di crescita per il 2022  del 5,5% (le esportazioni che superano il 21,2%), al PIL russo che invece ha una proiezione per il 2022 al ribasso, si stima infatti un crollo del 8,5% a causa delle sanzioni, che ha causato in tutto una crescita dell’inflazione per il 2022 pari a 16 punti percentuali secondo i dati S&P e del 9 % nel 2023, facendo così regredire il paese più grande del mondo ai livelli del 1992. Tutto questo nonostante il rublo abbia riacquistato la quasi totalità del valore perso dall’inizio del conflitto in Ucraina. Una crisi mai vista prima, che potrebbe portare in pole position la Cina.

Usa vs Russia: col covid cosa accadrà a Pechino?

Ma davvero è tutto oro quel che luccica? A cambiare le carte in tavola è ritornato il covid. Nessuno si aspettava infatti che mentre i mainstream di tutto il mondo avessero silenziato e notizie riguardanti la pandemia, la cena tornasse in lockdown rinchiudendo città per decine di milioni di abitanti. Un problema questo che già nel 2020 ha fatto perdere alla Cina 150 miliardi sul PIL in sole 48 ore.
E così si ribaltano le carte: secondo il National bureau of statistics (Nbs), l’indice ufficiale degli acquisti del settore manifatturiero, PMI, è sceso di 2, 7 punti percentuali da 50,2 a 49,5.
Il PMI non manifatturiero è diminuito invece dal 51,6 di febbraio al 48,4 di marzo.
Il covid (e soltanto secondariamente la guerra in Ucraina) hanno finito quindi per ridurre sensibilmente sia la produzione che la domanda, con una conseguente contrazione dei posti di lavoro nelle fabbriche. La flessione economica ha indotto dunque Pechino a correre ai ripari con misure a sostegno delle imprese, esenzioni dell’affitto e altre misure di welfare nel settore dei servizi. La Banca Centrale cinese inoltre a marzo ha deciso di mantenere invariati i tassi di interesse per i prestiti alle imprese alle famiglie.
Se a vincere dopo la guerra in Ucraina e il covid, tra tutte le superpotenze del mondo dovesse essere la Cina allora il mondo dovrà adattarsi per i prossimi decenni ad una nuova polarità.


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