«Sappiamo ora che nei primi anni del ventesimo secolo questo mondo era scrutato da vicino e con attenzione da intelligenze superiori a quelle dell’uomo, ciò nonostante mortali, quanto le sue. Sappiamo ora che come esseri umani occupati dai loro vari impegni, essi erano osservati e studiati, forse quasi come un uomo con un microscopio potrebbe, da vicino, scrutare le effimere creature che brulicano e si moltiplicano in una goccia d’acqua.

Con infinito compiacimento la gente andava e veniva per la Terra dietro i propri piccoli affari, serena nell’assicurazione del proprio dominio su questo piccolo, rotante frammento di detriti solari che, per un caso o per un disegno, l’uomo aveva ereditato dal buio mistero del Tempo e dello Spazio.

Ciò nonostante, attraverso un immenso golfo etereo, menti che stanno alle nostre menti come le nostre alle bestie della giungla, intelletti vasti, freddi ed ostili, guardavano questa Terra con occhi invidiosi e lentamente e con decisione stendevano i loro piani contro di noi.

Nel trentanovesimo anno del ventesimo secolo arrivò la grande disillusione. Era quasi la fine del mese di ottobre. Il commercio era migliorato. La paura della guerra era finita. Molte persone erano tornate al lavoro. Le vendite cominciavano a risalire. Il servizio statistico stimò che in questa serata particolare, il 30 di ottobre, 32 milioni di persone stessero ascoltando la radio… ».
Anche se l’episodio è ormai entrato di diritto nella storia non solo della cultura anglosassone (si pensi a quell’«invaded by Mars» del popolarissimo singolo Radio Ga Ga dei Queen) o dei mass media (la trasmissione fu infatti definita “il più grande scherzo del secolo” mentre il suo autore venne celebrato come un genio della comunicazione), a distanza di 70 anni appare ancora incredibile il semplice fatto che dietro alla voce che lanciò via etere la terribile provocazione contenuta in queste righe – l’inizio di un programma radiofonico di 60 minuti “camuffato” da adattamento del famoso romanzo La guerra dei mondi (1898) dello scrittore inglese Herbert George Wells, uno dei padri della fantascienza letteraria – ci fosse un ragazzo di 23 anni.

Un ragazzo prodigio che nell’estate successiva, ancora sull’eco della sensazionale popolarità guadagnatasi con questa trasmissione, sarebbe sbarcato a Hollywood per firmare un contratto senza procedenti nel mondo del cinema, dove «si specificava che avrebbe fatto un film all’anno, come produttore, regista, sceneggiatore o interprete, o tutte queste cose insieme. Gli veniva riservato il 20% dei proventi lordi di ogni film, su cui avrebbe ricevuto 50.000 dollari in anticipo», portandosi a casa anche la possibilità del controllo totale sul montaggio definitivo della pellicola.

Una condizione mai concessa a nessuno dei grandi registi allora in circolazione che in capo a un anno e mezzo – passando per un primo progetto poi abbandonato, la riduzione cinematografica di Cuore di tenebra dell’amato Joseph Conrad sviluppata a partire da un suo adattamento radiofonico del 1938 e girato interamente dal punto di vista del protagonista – avrebbe portato alla realizzazione di Quarto potere (Citizen Kane, 1941), “il film più bello del mondo”, cambiando il corso della storia del cinema e facendolo entrare in un’altra epoca. Stiamo parlando – se ci fosse ancora bisogno di dirlo – di George Orson Welles.

Nel 1936 il giovanissimo Welles, arrivato a New York quasi 20enne con l’idea di rivoluzionare il palcoscenico rappresentando le più grandi opere teatrali della storia per la gente comune, aveva messo in scena ad Harlem un Macbeth in stile vodoo, con soli attori non professionisti di colore disoccupati: «Indubbiamente, il maggior successo della mia vita […]. Tutte le maggiori personalità del mondo bianco e di quello nero erano lì. E quando lo spettacolo si concluse, ci furono così tante chiamate alla ribalta per gli applausi, che alla fine lasciammo il sipario alzato e il pubblico salì sul palcoscenico per congratularsi con gli attori. Davvero, fu un momento magico».
L’anno successivo aveva invece fondato una propria compagnia teatrale, il “Mercury Theatre”, per mettere in scena i classici «con la velocità e la violenza originali». La prima opera messa in cantiere fu Caesar, un Giulio Cesare in abiti moderni – forse il più grande successo del “Mercury Theatre” – adattato, diretto e interpretato dallo stesso Welles (era nel ruolo di Bruto). Secondo lo scrittore Richard France «[l]a sua versione di Giulio Cesare è ancora considerata come la più importante singola produzione teatrale shakespeariana mai realizzata sui palcoscenici americani».

Non risulterà quindi difficile pensare come già nel 1938 egli fosse finito sulla copertina di Time e gli fossero stati dedicati alcuni profili sulla stampa americana («La luna più chiara che da anni sia sorta su Broadway»; «Welles si sentirebbe a casa in cielo, perché il cielo è l’unico limite alla sua ambizione»). Nel mese di luglio, anche per pagarsi gli allestimenti del “Mercury Theatre”, debuttò sul canale CBS (Columbia Broadcasting System) con “The Mercury Theatre on the Air”, un programma per l’adattamento radiofonico di opere letterarie che si avvaleva dei fidati attori della propria compagnia.
Domenica 30 ottobre, alle 8 di sera in punto, venne trasmessa La guerra dei mondi che, raccontando in un’ora scarsa di finta radiocronaca l’invasione del New Jersey da parte dei marziani, scatenò il panico generale tra quasi 2 dei circa 9 milioni di ascoltatori stimati («Questo prova soltanto, caro il mio ragazzo d’oro, che tutte le persone intelligenti ascoltavano un cretino, e tutti i cretini ascoltavano te», come scrisse l’autore di un telegramma che Welles tenne appeso per anni nel proprio ufficio).

Tempo dopo egli stesso confessò che «[f]urono le dimensioni della reazione, naturalmente, a essere sbalorditive. Sei minuti dopo che eravamo andati in onda, i centralini delle stazioni radio di tutto il paese si accendevano come alberi di Natale. Le case si svuotavano, le chiese si riempivano; da Nashville a Minneapolis la gente alzava invocazioni e si lacerava gli abiti per la strada. Dopo venti minuti, la nostra sala controllo era piena di poliziotti estremamente perplessi. Non sapevano chi arrestare né perché […]. È stata una fortuna per me? Non lo so. Comunque, coi marziani trovammo uno sponsor e di colpo diventammo un grosso programma commerciale […]. Il passo successivo fu Hollywood… ».

E, al di là della storia del cinema, c’è pure una coda curiosissima – nonostante la sua evidente tragicità storica – che si verificò poco più di tre anni dopo (era il 7 dicembre 1941): «[F]acevo una trasmissione patriottica, quel mattino, e mi interruppero con la notizia proprio a metà. Ero in onda su tutta la rete, leggevo da Walt Whitman quant’è bella l’America, e mi interrompono per annunciare l’attacco a Pearl Harbor; sembra proprio che io stia per ritentare il colpo, non ti pare?». Una coincidenza che ha davvero dell’incredibile anche per uno come Orson Welles cui piacevano le magie e che si diceva avere imparato all’età di 5 anni molti trucchi dal grande Houdini. Buon per noi, allora, che li abbia trasportati in parole e immagini prima in teatro, poi in radio ed infine al cinema. Lasciando un segno indelebile in tutti e tre questi ambiti.

(Leonardo Locatelli)