Sydney Pollack, il regista, attore e produttore statunitense spentosi lunedì all’età di 73 anni nella sua casa di Pacific Palisades a Los Angeles, nasce a Lafayette, nello stato dell’Indiana, il 1° luglio 1934 da genitori immigrati russi di origine ebrea, cresce a South Bend per poi trasferirsi nel 1952 a New York dove, terminati gli studi universitari, diventa attore e assistente regista teatrale. Chiamato nel 1960 a Los Angeles per affiancare il regista John Frankenheimer, le sue prime regie sono tutte televisive: «Non mi interessava fare il regista, mi è capitato per caso: non sapevo che fare, osservavo gli altri, ma per imparare ho dovuto prima compiere colossali errori».
 

Tra queste vale forse la pena ricordare la serie di maggiore successo che prende il nome dal suo protagonista: Dr. Kildare. Se il suo esordio come attore avviene con Robert Redford (Caccia di guerra, 1962, di Denis Sanders, film indipendente a basso costo di argomento bellico), il suo debutto dietro la macchina da presa per il grande schermo, prodotto dalla Paramount Pictures, è datato 1965 con La vita corre sul filo, melodramma psicologico con Anne Bancroft e Sydney Poitier, seguito l’anno successivo dall’affresco sociale Questa ragazza è di tutti, tratto da Tennessee Williams, sceneggiato da Francis Ford Coppola ed interpretato da Natalie Wood e Robert Redford, che finirà per dirigere in altri sette film. Del 1968 è il western picaresco Joe Bass l’implacabile mentre l’anno dopo è la volta del film bellico Ardenne ’44, un inferno, entrambi con Burt Lancaster, suo mentore fin dagli esordi a Hollywood e che gli chiese di curare il doppiaggio USA de Il Gattopardo. Sempre del 1969 è Non si uccidono così anche i cavalli?, con Jane Fonda, per la regia del quale arriva la sua prima nomination all’Oscar.

Gli anni Settanta vedono la sua esplosione: il western filoindiano per eccellenza Corvo rosso non avrai il mio scalpo (1972), la commedia romantica Come eravamo (1973), il celebre spionistico I tre giorni del condor e Yakuza (1975), Un attimo, una vita (1977), Il cavaliere elettrico (1979).

Gli anni Ottanta sono quelli della consacrazione da parte dell’industria del cinema: al Festival di Berlino del 1982 il film di denuncia Diritto di cronaca (1981) riceve una menzione e il premio della giuria dei lettori del “Berliner Morgenpost”, la commedia Tootsie (1982) vince il premio della critica cinematografica di New York mentre il kolossal (per certi versi accademico) La mia Africa (1985), trasposizione dell’autobiografia della scrittrice Karen Blixen, porta a casa, su 11 candidature, 7 premi Oscar (film, regia, sceneggiatura, fotografia, scenografia, musica e suono).

Il resto è storia recente: Havana (1990, con Robert Redford, stanca riproposizione di un intreccio “alla Casablanca”), Il socio (1993, con Tom Cruise e Gene Hackman), Sabrina (1995, con Harrison Ford e Julia Ormond, remake del classico del 1954 firmato da Billy Wilder con Humphrey Bogart, Audrey Hepburn e William Holden), Destini incrociati (1999, sempre con Ford) per chiudere con The interpreter (2005, girato dentro il Palazzo di Vetro dell’ONU con Nicole Kidman e Sean Penn) e Frank Gehry, creatore di sogni (2005, documentario sul celebre architetto).

Se, non dimentico delle origini, Sydney Pollack si presta anche come buon attore caratterista, recitando nel suo Tootsie («Per accettare il ruolo en travesti, Dustin Hoffman pretese che nella finzione fossi io a interpretare il ruolo del suo agente»), in Mariti e mogli (1992) di Woody Allen, I protagonisti (1992) dell’ugualmente compianto Robert Altman, La morte ti fa bella (1992) di Robert Zemeckis e Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick (1999), egli intraprende anche il ruolo di produttore dei suoi film già nel 1975, dimostrando però anche in tempi recenti ottimo fiuto per pellicole altrui (Sliding Doors, 1998; Un americano tranquillo, 2002; Michael Clayton, 2007, dove è anche attore) e fondando con Anthony Minghella (anche lui recentemente scomparso) la Mirage Enterprises, che ha prodotto, tra gli altri, Ragione e sentimento (1995) di Ang Lee, Il talento di Mr. Ripley (1999) e Ritorno a Cold Mountain (2003) dello stesso Minghella.

In conclusione, speriamo non ce ne vorranno i suoi estimatori se scriviamo che il maggior merito per il quale, alla lunga, in sede di sintesi storiografica, Sydney Pollack rischia di venire ricordato negli annali del cinema potrebbe essere quello di avere traghettato nell’empireo delle star il suo grande amico Robert Redford – al cui nome è inscindibilmente legato a doppio filo – in compagnia del quale, entrambi liberal di ferro, fece il suo esordio nel mondo del cinema, si guadagnò la ribalta negli anni Settanta direttamente dal di dentro della grande industria hollywoodiana e creò il Sundance Institute, alla base del più prestigioso festival del cinema indipendente e terzomondista.

(Leonardo Locatelli)

(foto Ansa)