«I am the king of world!»: dopo aver già ricevuto i riconoscimenti per il montaggio e la regia, la sera del 23 marzo 1998, chiamato per la terza e ultima volta sul palco dello Shrine Auditorium per ritirare l’Academy Award assegnato a Titanic quale migliore pellicola del 1997, con queste parole lanciate a braccia spalancate all’indirizzo dei seimila ospiti presenti in sala e alle decine di milioni di spettatori in giro per gli States e il mondo James Cameron si congeda dalla settantesima edizione della notte degli Oscar. Una citazione di una battuta del protagonista del film, l’allora ventiquattrenne astro nascente Leonardo DiCaprio, che – assente in quanto escluso dalla lista dei cinque candidati per l’attore protagonista – con il ruolo dello spiantato Jack Dawson entra direttamente nell’empireo dello star system.
Dopo un’assenza di fatto di dodici anni, ora che il “re” è tornato nelle sale italiane – e non stiamo parlando di quello che chiude la trilogia cinematografica tratta dalla più celebre opera tolkieniana, Il signore degli anelli – Il ritorno del re (The Lord of the Rings – The Return of the King, 2003, Peter Jackson) che nel 2004 ha eguagliato con undici Academy Awards il record di Ben Hur (1959, William Wyler) e dello stesso Titanic – ripercorriamo la favolosa (nel senso di denari spesi e ampiamente riguadagnati) ma di certo non prolifica carriera (con otto pellicole all’attivo) del cinquantaseienne regista, sceneggiatore e produttore nordamericano, un mix di Cecil B. De Mille e di George Lucas aggiornato ai secondi anni Ottanta e agli anni Novanta, definito “un tecnico straordinario, un profeta del futuribile e un despota d’altri tempi” e la cui frase preferita pare essere «O fate come dico io o andate a fare un altro c…o di film».
Ingegnere elettrico il padre Phillip e artista la madre Shirley, James Francis Cameron nasce, primo di cinque fratelli, a Kapuskasing, in Ontario (Canada), poco al di sopra della regione dei Grandi Laghi, il 16 agosto 1954. All’età di quindici anni si imbatte in 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, 1968, Stanley Kubrick): «Non appena lo vidi, seppi che volevo diventare regista. Mi colpì a una quantità di livelli diversi. Non riuscivo a capire come avesse fatto tutta quella roba, dovevo imparare e basta». Nel 1971 tutta la famiglia si trasferisce negli Stati Uniti, sulla costa occidentale, dove James, pur ancora diviso tra l’interesse per le materie scientifiche e quelle artistiche (in particolare pittura e scrittura), si iscrive alla Facoltà di Fisica della California State University.
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Alla fine, privilegiando le seconde, per assecondare il suo obiettivo di diventare uno sceneggiatore cinematografico, inizia a lavorare come venditore di automobili e camionista. Arriva poi come art director alla “scuola” di Roger Corman, che lo fa esordire alla regia nel 1981: Piraña paura (Piranha II – The Spawning), il seguito di Piraña (Piranha, 1978, Joe Dante) rappresenta certo un debutto anche commercialmente poco convincente dopo il quale solo pochissimi scommetterebbero su quell’esordiente ventisettenne. Eppure, nelle pieghe della lavorazione di questo B-movie, già si intravedono i primi guizzi del carattere a venire: Cameron, per nulla soddisfatto dei “pesci volanti” forniti dalla produzione, si dipinge a mano i modellini di scena.
Il suo trampolino di lancio è Terminator (The Terminator, 1984) in cui dirige la star Arnold Schwarzenegger nel ruolo del famoso cyborg venuto dal futuro: il film, unico caso rispetto a tutta la sua filmografia seguente, non viene nominato e premiato con l’Oscar per i migliori effetti speciali visivi. Due anni dopo, rifacendosi all’esordio di Ridley Scott nella fantascienza, si lancia nel secondo seguito (su tre film) della sua carriera e dirige Aliens – Scontro finale (Aliens, 1986), per il quale può avvalersi della collaborazione di Stan Winston, guru hollywoodiano e vera autorità vera in fatto di effetti speciali visivi.
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Del 1989 è una nuova avventura “marina”, dai tempi del suo esordio: costringendo i propri collaboratori a passare più di dieci ore al giorno nell’acqua gelida (una sorta di anteprima della lavorazione di Titanic), Cameron – come se fosse lo spazio siderale di quell’Odissea cinematografica che lo aveva affascinato da ragazzo – si avventura sul fondo del Mar dei Caraibi per The Abyss. Nel 1991 è ancora tempo di sequel, ma questa volta di una sua pellicola: come non ricordare infatti le liquide metamorfosi del feroce cyborg T-1000 che costituiscono tra le più sbalorditive sequenze di Terminator 2 – Il giorno del giudizio (Terminator 2 – Judgement Day), a cui collabora ancora Stan Winston, con il quale di lì a due anni costituisce la compagnia di effetti speciali Digital Domain, seconda solo alla ILM (Industrial Light & Magic) di George Lucas.
Ecco che finalmente, dopo il divertissement di True Lies (1994), suo terzo film con Schwarzenegger all’insegna degli spy movies di James Bond, ormai nulla più lo divide dalla sua ossessione: raggiungere a quasi quattromila metri sul fondo dell’Atlantico il Titanic e riportarlo in vita – almeno per 195 minuti e in una sala cinematografica – davanti agli occhi di tutto il mondo. Carriera di produttore a parte – che vede figurare, tra gli altri titoli, Point Break – Punto di rottura (Point Break, 1991), Strange Days (1995), entrambi di Kathryn Bigelow (la terza delle sue quattro ex-mogli), e Solaris (2002, Steven Soderbergh) – il resto è davvero storia di questi giorni.