Clint Eastwood compie oggi ottant’anni. Attore, regista e produttore americano di fama planetaria, Eastwood è conosciuto dal grande pubblico italiano anche – forse soprattutto – per i ruoli che fece nella cosiddetta “trilogia del dollaro” di Sergio Leone, laddove diede volto e movenze ad indimenticabili anti-eroi solitari e disincantati: il pistolero senza nome di Per un pugno di dollari (1964) e di Per qualche dollaro in più (1965) ed il buono (appunto) de Il buono, il brutto e il cattivo (1966). Erano, quelli di Leone, dei western magniloquenti, di rottura, che allontanavano il genere dalla tradizione del mito della frontiera, della novella bucolica e dei buoni (i bianchi) che sempre vincono sui cattivi (gli indiani). Non è quindi un caso che l’Eastwood regista, sempre dichiaratosi un allievo di Sergio Leone, sia un qualcosa di molto simile, almeno nei contenuti. Fautore di un cinema cinico e disilluso, popolato da eroi perdenti, sfortunati ed arrabbiati, a tratti perfino sovversivo nei confronti dei fondamenti dell’etica americana. Ma Clint Eastwood è al contempo autore di grande abilità visiva, in grado di affrontare e riscrivere tutti i generi con linearità di stile ed efficacia narrativa oggi quasi senza eguali: è forse l’ultimo dei grandi di Hollywood, classico e moderno al tempo stesso.
Californiano, nato a San Francisco nel 1930, Eastwood debutta nel 1954 recitando per la Universal parti secondarie in b-movies di genere, soprattutto, horror. Poi, dal 1958 al 1959, interpreta il cowboy (guarda caso) Rowdy Yates nella serie tv della CBS Rawhide. Dopo la già ricordata parentesi europea, torna a Hollywood ed instaura un proficuo sodalizio col regista Don Siegel, con il quale gira diversi film di genere western e poliziesco rivisitati secondo gli stilemi della new Hollywood, tra i quali ricordiamo L’uomo con la cravatta di cuoio (1968) e La notte brava del soldato Jonathan (1971). Con Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! (1971), sempre di Siegel, inaugura l’altro personaggio per cui va celebre (oltre al cowboy senza nome): quello del poliziotto Harry la carogna (Dirty Harry, è anche il titolo originale del film). Modi brutali e sguardo tagliente, il personaggio – paladino della giustizia “fai da te” nel farwest metropolitano – ritornerà in altri quattro film, uno dei quali (Coraggio… fatti ammazzare, 1983) diretto dallo stesso Eastwood. Una menzione particolare merita Fuga da Alcatraz (D. Siegel, 1979), capolavoro del genere carcerario dove un Eastwood sobrio ed ispirato offre una delle migliori interpretazioni di tutta la carriera.
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Passa alla regia nel 1971 con il film Brivido nella notte, un thriller di scarsa fortuna, di cui è anche il protagonista. Con il primo western, Lo straniero senza nome (1973), inizia l’esplorazione delle tematiche già accennate dell’anti-eroismo, del mondo pieno di gratuita violenza e del cinismo di personaggi soli e feroci, che caratterizzeranno un po’ tutte le opere future. Queste prime regie si innestano sul periodo della cosiddetta new Hollywood degli anni Settanta, quando la reazione americana alle nuove correnti europee (soprattutto la Nouvelle Vague) diede spazio ad una generazione di giovani autori, capaci di rivisitare i generi della tradizione classica avvicinandoli agli stilemi del cinema dello sguardo. Ma il nostro saprà andare anche oltre, arrivando con le migliori opere a toccare vette sublimi per misura narrativa, stilistica ed espressiva.
Classico e moderno – La consacrazione come autore arriva con i film Bird (1988), biografia del jazzista Charlie Parker, il sorprendente Cacciatore bianco, cuore nero (1990), omaggio al regista John Huston, e soprattutto Gli spietati (1992), un western strutturato come una tragedia greca che gli fa guadagnare l’Oscar per il miglior film e per la miglior regia. È forse il suo capolavoro. Da qui in poi, quasi solo grandi film: Un mondo perfetto (1993), Potere assoluto (1996), Space Cowboys (2000), Mystic River (2003), Million Dollar Baby (2005), solo per citare i migliori. Autore ormai completo, consapevole della propria arte, Eastwood si dimostra in grado come pochi altri di filmare le cose con estrema misura, attraverso uno sguardo “morale”, nel senso definito dal grande critico francese André Bazin (fondatore nel 1951 dei “Cahiers du Cinéma”). Vale a dire: tenere la macchina da presa sempre alla giusta distanza (anche fisica) dalle cose, mai essere enfatico, mai troppo sottolineare o indirizzare arbitrariamente lo sguardo dello spettatore, e quindi… mostrare e non dimostrare (cifra stilistica di tutto il cinema moderno).
In questo senso egli è al contempo regista classico e moderno, racconta usando il linguaggio (classico) del montaggio trasparente con maestria, ma sa aggiungerci ad arte esibizione di segno/senso. Un esempio per tutti: l’uso espressionista della luce nel film Million Dollar Baby (2005), dove il viso dei personaggi viene quasi in ogni frame tagliato in due dall’ombra, e gli stessi sono spesso mostrati come silhouettes nere in controluce. Non a caso è questa l’opera che gli valse per la seconda volta i due Oscar principali (film e regia). E come ogni buon cineasta moderno che si rispetti, seppur lavorando in ambito dichiaratamente narrativo, non si dimentica affatto della natura voyeuristica del mezzo cinema, e le rende onore: basti ricordare la lunga sequenza dell’assassinio dell’amante del presidente nel già citato Potere assoluto.
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Secondo alcune sue dichiarazioni Gran Torino (2008), film dalla mirabile compiutezza stilistica sull’intolleranza razziale nella odierna provincia americana, è destinato a rimanere la sua ultima prova davanti alla macchina da presa. Comunque sia, da regista, nel 2009 ha realizzato Invictus mentre il prossimo mese di settembre dovrebbe essere presente a Venezia con il thriller Hereafter. Noi – come tanti altri – ci auguriamo che non sia ancora finita.
Riconoscimenti e riconoscenza – Innumerevoli i riconoscimenti ricevuti, tra questi, oltre agli Oscar già citati, ricordiamo il Golden Globe per la regia di Bird nel 1988 ed il Leone d’Oro alla carriera al Festival di Venezia del 2000. Oltre ciò, e per quanto possa valere, per sempre rimanga la nostra riconoscenza per il grande cinema che ci ha saputo regalare in tutti questi anni di carriera. E se qualcuno avesse ad accusarlo per l’eccesso di pessimismo o cinismo dei suoi film, siamo sicuri che – parafrasando il Moretti di Caro diario – il nostro a buon diritto risponderebbe: «Voi siete cinici e voi siete pessimisti, io ho sempre fatto onestamente del buon cinema, ed ora sono uno splendido ottantenne!».