Cinque anni fa ci lasciava Alberto Lattuada. Intellettuale poliedrico, appassionato cultore di letteratura, teatro lirico e fotografia, lo ricordiamo soprattutto per la sua attività di regista e sceneggiatore, avendo diretto dal 1943 al 1986 trentatre lungometraggi, oltre al corto Gli Italiani si Voltano inserito nel film a episodi Amore in Città (1953).

Fautore di un cinema asciutto, caratterizzato da una messa in scena razionale, rigorosa e analitica, e da un calibrato e a tratti personale uso della luce, Lattuada annovera anche il merito di avere dato inizio alla carriera di diverse note attrici, tra cui ricordiamo la moglie Carla Del Poggio, Valeria Moriconi, Jacqueline Sassard, Catherine Spaak, e in tempi più recenti anche Nastassja Kinski e Barbara De Rossi.

Nato a Milano nel 1914, figlio del musicista Felice, dopo la laurea in architettura conseguita nel 1938 Lattuada collabora con le riviste Tempo Illustrato e Domus, scrivendo di critica cinematografica e di arredamento. Dopo alcune esperienze in veste di organizzatore di retrospettive filmiche e di fotografo d’arte, passa definitivamente al cinema nel 1941 facendo l’aiuto regista di Mario Soldati in Piccolo Mondo Antico.

Tra il 1942 e il 1943 dirige i primi due film: Giacomo l’Idealista e La Freccia nel Fianco, entrambi spietati nell’additare l’ipocrisia della società borghese, per questo tratti da opere letterarie nell’intento (riuscito) di eludere la censura del regime fascista. Questi film già si connotano per lo stile rigoroso di cui s’è detto. Inoltre in essi troviamo le prime figure femminili tracciate dal regista: centrali al racconto, complesse e sensuali, tratti caratteristici che diventeranno una costante della sua opera.

Dopo gli esordi ricordati, Lattuada si afferma come un importante regista del panorama nazionale nei primi anni Cinquanta. Proprio del 1950 è Luci del Varietà, film con Peppino De Filippo sul leggero mondo dello spettacolo d’arte varia, diretto con Federico Fellini, suo collaboratore nelle sceneggiature dai tempi dei precedenti Senza Pietà (1948) e Il Mulino del Po (1949). Il film segna infatti anche l’esordio alla regia del maestro riminese.

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Il successivo film Anna (1952) è una delle migliori prove della carriera, nel quale Lattuada dirige Silvana Mangano nei panni di una novizia infermiera, riuscendo a tracciarne un ritratto femminile indimenticabile, in mirabile equilibrio tra senso del dovere e fascino attrattivo dell’erotismo. Il film, oltre a meritarsi una ormai celebre citazione in Caro Diario di Nanni Moretti (1994), annovera anche due primati: fu il primo a incassare più di un miliardo di lire in Italia e il primo straniero a essere doppiato negli Stati Uniti.

 

Nei film successivi, Lattuada procede nell’esplorazione delle sue tematiche predilette: la borghesia ipocrita e provinciale e l’universo sentimentale e sensuale della donna, mettendo in scena per lo più soggetti tratti dalla letteratura. Troviamo così film come La Lupa (1953), tratto da Giovanni Verga, Guendalina (1957), La Tempesta (1958), tratto da due racconti di A. S. Puskin e nel quale spicca lo stile elegante e geometrico del regista.

 

Da segnalare poi Mafioso (1962), nel quale recita un inusuale Alberto Sordi nei panni di un personaggio immorale e piccolo borghese. Con Venga a Prendere il Caffè da Noi (1970), tratto dal romanzo La Spartizione di Piero Chiara (che compare in una piccola parte), Lattuada mette in scena una delle sue migliori rappresentazioni della borghesia perbenista, provinciale e sessuofoba, aiutato anche da un Ugo Tognazzi in forma smagliante.

 

L’avventura sul grande schermo si chiude negli anni Ottanta con due film: La Cicala (1980), un riuscito melodramma a forti tinte (anche cromatiche), e Una Spina nel Cuore (1986), poco felice trasposizione di un altro romanzo di Piero Chiara.

 

Come già sappiamo, la tv degli anni Ottanta fagocita un po’ tutto. Così anche Lattuada finisce la carriera dirigendo per il piccolo schermo il kolossal Cristoforo Colombo (1985) e lo sceneggiato a puntate Due Fratelli (1988), sua ultima fatica dietro la macchina da presa. Infine lo vediamo in una amichevole e simpatica apparizione nel film Il Toro (1994) di Carlo Mazzacurati.

 

Diversi i riconoscimenti ricevuti, tra cui il David di Donatello per la regia de La Tempesta nel 1959, e il David alla carriera nel 1994.

 

Così, in sintesi, ricordiamo la vita artistica di Alberto Lattuada, un intellettuale prestato al cinematografo, capace di opere di alto livello nel trentennio – forse – di maggior spessore del cinema italiano.