Domenica scorsa è morto all’età di ottant’anni il regista francese Claude Chabrol, il più prolifico tra gli autori che hanno dato vita alla Nouvelle vague. Ha infatti diretto oltre cinquanta lungometraggi, dall’esordio di Le Beau Serge (1957), considerato l’atto di nascita del movimento della “nuova ondata” francese, fino all’ultimo film Bellamy (2009). Formatosi come Godard, Truffaut, Rivette ed altri alla scuola dei Cahiers du Cinema, Chabrol è stato il più hitchcockiano tra questi, ed anche quello che ha avuto nella sua lunga carriera le più numerose incursioni nel cinema commerciale e di genere (il giallo, ovviamente).

Nato nel 1930 a Parigi, cresce però in un piccolo villaggio di provincia durante la seconda guerra, dove già all’età di tredici anni fonda un cineclub. Si iscrive a Parigi alla facoltà di farmacia, per tradizione familiare, ma interrompe presto gli studi per dedicarsi, da critico, alla sua sempre più accesa passione per il cinema. Comincia così a collaborare con le riviste specializzate Arts e – soprattutto – la mitica Cahiers du Cinema, dove conosce quell’élite di intellettuali già sopra citata, i futuri cineasti che di lì a poco riscriveranno in buona parte le regole del gioco.

Ed anzi, tra questi Chabrol è uno dei più precoci: già nel 1957 pubblica con Eric Rohmer, diversi anni prima del celebre libro-intervista di Truffaut, un ampio saggio su Alfred Hitchcock, suo dichiarato idolo cinematografico. Nello stesso anno, grazie ad una imprevista eredità familiare, esordisce alla regia col già ricordato Le Beau Serge, ufficialmente il primo film della Nouvelle vague, anche se disorganico ed ancora stilisticamente acerbo rispetto ai successivi manifesti-cult del movimento (I 400 Colpi, Truffaut 1959, Fino all’Ultimo Respiro, Godard 1960).

Il secondo film I Cugini (1958), più compatto di stile, si muove ancora sulle tematiche già presenti in nuce all’esordio, quelle che poi accompagneranno un po’ tutta la sua opera: le ipocrisie della provincia borghese e l’ambiguità morale da cui nascono i comportamenti delittuosi, soprattutto.

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Il cinema di Chabrol si caratterizza in questi anni per uno stile sobrio, una rigorosa costruzione dell’immagine nell’inquadratura, uno sguardo in linea con il rinnovamento in atto, senza però arrivare al gioco di esibizione del linguaggio tipica di altri “duri e puri” della Nouvelle vague (Godard in primis). Seguirà poi una lunga carriera, per questo inevitabilmente caratterizzata da alti e bassi, giocata principalmente tra il giallo d’autore (nelle intenzioni, a volte disattese) ed il melodramma con delitto, con qualche incursione nel cinema di ricostruzione storica.

 

Troviamo così le opere migliori nei film Donne Facili (1960), Landru (1963), Il Tagliagole (1969), Un Affare di Donne (1988), Madame Bovary (1991). Negli anni della maturità rende ancora più asciutto il suo stile, vi lascia solo l’essenziale per mostrare con la lente del genere ancora le meschinità delittuose della piccola borghesia di provincia.

Troviamo così film come Il Buio nella Mente (1995), caustica storia al femminile di delitti e vendette di classe, e Grazie per la Cioccolata (2000), un elegante parabola moralistica contornata di sapienti citazioni cinefile, ed il penultimo L’innocenza del Peccato (2007), piccolo capolavoro dalle atmosfere quasi bunueliane.

 

Con Claude Chabrol scompare quindi uno dei protagonisti del principale movimento di rivoluzione linguistica ed autoriale degli anni sessanta. Fautore di una poetica di spietata analisi psicologica dei suoi personaggi e di critica dei riti borghesi e provinciali, era lui stesso preda di un grave dubbio quando dichiarava che “per tutta la vita ho temuto di essere anch’io uno dei miei borghesi, ma credo di non esserlo perché se ceno con loro mi rendo conto di non amare ciò che amano loro: il denaro e le decorazioni”.

 

L’epitaffio perfetto per un autore che amava la buona cucina ed odiava il superfluo (nello stile) al cinema.