Usciva cinquant’anni fa – il 5 dicembre del 1962 – Il Sorpasso di Dino Risi, uno dei film fondamentali della cinematografia italiana del secondo dopoguerra, forse quello maggiormente associato all’immagine dell’Italia all’epoca del miracolo economico. Non a caso porta lo stesso titolo anche un saggio del 1997 di Miriam Mafai, giornalista pubblicista tra i fondatori de La Repubblica, accuratamente dedicato a quel periodo della nostra storia. In effetti, il film di Dino Risi è una pietra miliare – termine abusato ma adatto al caso, vista la struttura da road movie del film – della commedia all’italiana come genere di denuncia e satira sociale, che proprio in quegli anni conosceva il suo apice storico.

In una Roma di Ferragosto, deserta e assolata, il quarantenne Bruno Cortona (Vittorio Gassman) si aggira a bordo di una Lancia Aurelia spider decappottabile, dall’inconfondibile clacson multitonale. Bruno è un aitante cialtrone, amante della guida veloce e delle belle donne, dall’occupazione imprecisata. In cerca di una tabaccaio e di un telefono pubblico, si imbatte in Roberto (Jean-Louis Trintignant), giovane e timido studente di legge, rimasto in città per preparare gli esami. Bruno coinvolge così Roberto in un viaggio in auto alla giornata.

Tra una meta occasionale e l’altra i due, in strada verso il mare della Toscana, fanno anche visita agli zii di Roberto, e poi alla ex moglie e alla figlia sedicenne (Catherine Spaak) di Bruno. Il giorno seguente, proprio mentre Roberto comincia a vincere la timidezza e a godersi il viaggio, un incidente, causa l’ennesimo sorpasso avventato, metterà tragicamente fine all’avventura, e alla vita del giovane studente.

Diversi elementi concorrono a fare de Il Sorpasso un film di culto, divenuto tale negli anni dopo l’iniziale indifferenza di gran parte della critica nazionale. Anzitutto la già citata struttura da road movie, assai inconsueta per l’epoca e il genere. Si ricordi che il film uscì negli Stati Uniti col titolo di The Easy Life, che vagamente richiamava il felliniano La Dolce Vita per ragioni di botteghino. Ma la sua struttura e il suo titolo americano hanno poi ispirato Dennis Hopper per il soggetto di Easy Rider (1969), capostipite dei road movies contemporanei. Quindi Il Sorpasso si può anche considerare l’antesignano dell’antesignano tra questi film.

Una vicenda narrativa che si sviluppa sulla strada, fatto insolito per il genere commedia, è comunque da considerarsi un singolare lascito del neorealismo. Tutta la commedia italiana del dopoguerra nasce sulle ceneri del neorealismo: prima quella di taglio più farsesco e parodistico, al limite del comico, direttamente contaminata col teatro popolare della commedia dell’arte; poi quella di satira sociale e di costume, nelle opere migliori addirittura di portata sociologica. È appunto a quest’ultima che si deve ascrivere un film come Il Sorpasso, che vi arriva anche attraverso la scelta di uno sguardo filmico immediato – cioè non-mediato da una messa in scena ben ragionata – sulle cose e sulle persone reali, tipico dell’estetica neorealista.

“I frigoriferi intasano i tir, e i tir le strade”, sentenzia Bruno quando i due amici di un giorno, a spasso per la Toscana, vedono un camion rovesciato a bordo strada. La strada, appunto. In questo film, che comunque rimane lontano da preordinati intenti simbolici, la strada che segna il percorso dei protagonisti, nel loro incedere casuale, assurge a metafora dell’Italia sul finire del miracolo economico, che mestamente si avvia alla conclusione di un sogno.

Al termine del film, e della strada, infatti, l’auto di Bruno compie un tremendo salto nel vuoto. Il ragazzo ingenuo perde la vita, mentre il furbastro irresponsabile se la cava con pochi graffi. Immediato vederci la scomparsa di un’Italia e l’apparirne all’orizzonte di un’altra; leggerci la definitiva corruzione di un ideale, quello della fiducia nel miracolo economico come garanzia di equità sociale. Fiducia che veniva meno proprio in quegli anni.

Come il giovane idealista del film, l’Italia del boom muore, per lasciare il posto a una società ingiusta e contraddittoria, nella quale solo gli individualisti, amorali e opportunisti – come il Bruno del film – e i loro pseudo-valori diventeranno i protagonisti di un nuovo, apparente, benessere sociale. Tematiche tipiche del cinema di Dino Risi, inaugurate da pellicole come Il Vedovo (1959) eUna Vita Difficile (1961), su cui il regista tornerà più volte con differenti registri ed esiti alterni.

Celebrando i cinquant’anni di un film così importante nella storia del nostro cinema, viene naturale chiedersi quali siano i “sorpassi” di oggi; quale eredità, se ce n’è una, abbiano lasciato opere come quella appena ricordata. La risposta immediata, anche se tacciabile di nostalgia poco costruttiva, è purtroppo evidente: il nulla. A puntuale conferma, basti visionare il trailer televisivo dell’ultima fatica (?) di Christian De Sica (o forse il regista è un altro, dal trailer non si capisce, ma comunque fa lo stesso), di prossima uscita sugli schermi natalizi.

Forse, meglio sarebbe indagare se e in quale misura (magari per la venuta meno della materia sociale indagabile con gli stessi stilemi della commedia di costume) pellicole di taglio simile a Il Sorpasso, sulla società italiana odierna, necessitino oggi di altro genere e/o di diverso approccio stilistico, al momento non ancora ben definiti. Oppure i cinepanettoni sono effettivamente lo specchio di qualcosa che esiste nella realtà contemporanea del nostro Paese, riportato con stile adeguato ai tempi?

In attesa di risposte certe, lasciamo volentieri i panettoni al loro destino natalizio e continuiamo a rivedere film come Il Sorpasso: ci riconciliano affettivamente con il Cinema.