Il 33º Meeting di Rimini giunge oggi alla sua quarta giornata e per il terzo giorno consecutivo non lascerà a bocca asciutta quanti, dopo pranzo o dopo cena, tra un incontro, una mostra e una visita agli stand allestiti nei padiglioni della Fiera, non vorranno farsi mancare un appuntamento con il grande schermo. Il programma odierno prevede presso la Sala Cinema D7 Acec la proiezione alle ore 14:30 del film Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno (The Adventures of Tintin. The Secret of the Unicorn, 2011), diretto da Steven Spielberg (qui impegnato anche come produttore, insieme a Peter Jackson) e che ha per protagonista il coraggioso reporter dai capelli rossi creato dall’illustratore belga Hergé (al secolo Georges Prosper Remi, 1907-1983), mentre alle ore 21:30 un Brad Pitt davvero in splendida forma – i visitatori del Meeting l’avranno già potuto capire lo scorso lunedì sera, ammirando la sua prova di attore e di produttore nel lirico e monumentale affresco malickiano The Tree of Life (2011) – sarà invece al centro del film L’arte di vincere (Moneyball, 2011), diretto da Bennett Miller e tratto dal libro “Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game” di Michael Lewis.
La prima pellicola – che già dall’incipit riesce ad avvincere lo spettatore con un “film nel film” inserito nei titoli di testa, come già capitato nel sempre spielberghiano Prova a prendermi (Catch Me if You Can, 2001) – potrebbe essere definita un segno del destino che andava assecondato: infatti nel 1981, mentre Spielberg si trova a Parigi per promuovere il suo fortunatissimo I predatori dell’Arca perduta (Raiders of the Lost Ark), un recensore accosta Indiana Jones a Tintin. Il giorno stesso il regista acquista gli album del personaggio dei fumetti e ne inizia la lettura nella sua stanza d’albergo. Ci vogliono però due anni perché lui ed Hergé – che ha già avuto modo di lodare il talento narrativo del primo – riescano a fissare un appuntamento, occasione che purtroppo mai si concretizza a motivo dell’improvvisa scomparsa del secondo il 3 marzo 1983. Ma questo non impedisce al creatore di Indiana Jones di continuare a pensare a quel giovane reporter col ciuffo: non pochi e tutt’altro che secondari gli elementi in comune con l’intrepido professore di archeologia dagli inseparabili cappello e frusta.
Se per alcuni l’inizio del film potrebbe forse risultare troppo spedito e quindi di poco spessore (per via del limitato tempo dedicato alla descrizione di personaggi che si vorrebbe più a tutto tondo e di situazioni che si vorrebbero meno estemporanee, purtroppo sopravanzati dalle esigenze di svolgimento della trama), per il resto si sta davvero parlando di intrattenimento e di azione allo stato puro, nello stile di Indiana Jones per l’appunto: il duello lungo il filo dei secoli che vede opposti – così come i loro avi – Sakharine e il capitano Haddock (e nel quale Tintin si inserisce come terzo incomodo, in aiuto del secondo) è ricco di rocamboleschi inseguimenti e sequenze mozzafiato, valorizzati da un uso (manco a dirlo) magistrale del motion capture e della visione tridimensionale da parte del regista di Scottsdale.
La seconda pellicola della giornata è invece il racconto della vera storia di Billy Beane (Brad Pitt), general manager degli Oakland Athletics, che nella stagione 2002 – fronteggiando le ristrettezze di budget della sua società, con l’aiuto di un goffo neolaureato in Economia (Jonah Hill) e di una complessa analisi statistica ideata per la selezione dei giocatori da inserire in rosa – è riuscito a costruire strada facendo una squadra competitiva, riscrivendo sistemi e approcci gestionali del baseball made in Usa e rifiutando infine un assegno da dodici milioni e mezzo di dollari offertogli dai Red Sox di Boston, per continuare a inseguire la tanto sospirata vittoria finale con gli Athletics: «È incredibile quante cose non conosci del gioco che hai giocato tutta la vita» ci ricorda Mickey Mantle (1931-1995, tuttora detentore dei record di fuoricampo nelle World Series) citato in apertura dell’opera.
Ma ciò che più colpisce di questi 122 minuti è proprio la figura essenzialmente malinconica di Beane: protagonista di un film che potrebbe avere al proprio centro qualsiasi campo o disciplina, Billy è un uomo scaltro, che conosce il proprio mestiere, ma fa suo anche un certo codice di valori, che in gioventù è stato una promessa mancata del baseball (carriera intrapresa a scapito di una borsa di studio a Stanford già in tasca), separato dalla bella moglie Sharon e che riesce a fatica a trovare tempo (e pace) per dedicarsi all’unica figlia Casey; un ex giocatore giunto a pensare che la sua stessa persona porti sfortuna, al punto da evitare di assistere direttamente alle partite della sua squadra, eppure che cerca di spingere chi ha intorno a fare del suo meglio, invitandolo senza timore ad aprirsi al nuovo: «E allora, che ci faccio?» è in definitiva la battuta-chiave del personaggio.
Il finale di questo film – meno “facile” di quanto possa sembrare di primo acchito – non è infatti dedicato né ai calcoli statistici di Bill James, né ai risultati del campo di baseball, né ai discorsi degli spogliatoi, ma alle parole della canzone che la giovanissima Casey ha voluto incidere per il padre: «Mi sento solo un po’ / Tra incudine e martello / La vita è un labirinto / L’amore un indovinello / Non so dove andar / Da sola non ce la posso far / E non so perché / Sono una bambina / Persa nel momento / Ho tanta paura / Ma tengo alto il mento / Non capisco più / Mi butta un po’ giù / Ma so che devo andare avanti / E godermi lo show / Rallenta un po’, ferma qua / Sennò il mio cuore scoppierà / Perché è troppo / È tanto, sì / Io non sono fatta così / Sono una sciocca, disinnamorata / E non mi basta proprio mai / Sei un perdente, papà / Goditi lo show… Sei un gran perdente papà!». Si può perdere vincendo così come si può vincere perdendo.