«Tutto ok?». Linda (Meryl Streep), appena uscita con gli occhi ancora lucidi dal supermarket dove lavora, fa un cenno con la testa per poi chiedere: «Hai mai pensato che la vita sarebbe stata così?». Michael (Robert De Niro), rientrato da poco dal Vietnam, è al volante e tentenna per alcuni istanti come se dovesse ammettere qualcosa di rivoltante: il suo «No» arriva mentre l’auto sta partendo. “Die durch die Hölle gehen”. “Quelli che passano per l’inferno”. Questo il titolo in lingua tedesca scelto per un film statunitense poi uscito anche nelle sale italiane nell’ormai lontano dicembre 1978 con il titolo Il cacciatore (decisamente meno esplicativo e più vicino all’originale, che è The Deer Hunter). Di lì a quattro mesi, la sera del 9 aprile 1979, la pellicola si sarebbe portata a casa cinque Academy Awards tra i quali quelli per i migliori film, regia (Michael Cimino) e attore non protagonista (Christopher Walken).

Cosa hanno in comune l’ottantaduenne Clint Eastwood – occhi e rughe che dicono di una vita, Leone d’oro alla carriera alla 57ª Mostra del Cinema di Venezia del 2000 – e l’ormai sessantenne Mickey Rourke – corpo disfatto e oversize da pugile in (forzata) pensione, il cui The Wrestler (2008, Darren Aronofsky) è stato Leone d’oro quattro anni fa? Forse più che di qualcosa, conviene parlare di qualcuno: Michael Cimino, appunto. Se infatti fu Clint – oltre a comparire come attore nella sua folgorante opera di esordio, Una calibro 20 per lo specialista (Thunderbolt and Lightfoot, 1974) – a volere nella sua casa di produzione fondata nel 1968, la Malpaso, il futuro regista e produttore in qualità di co-sceneggiatore insieme a John Milius di Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan (Magnum Force, 1973, Ted Post), secondo film del ciclo dedicato al celebre sbirro impersonato da Eastwood, è altrettanto vero che fu Cimino a fare esordire il bel Mickey nel più celebre flop produttivo – insieme a Un sogno lungo un giorno (One from the Heart, 1982) di Francis Ford Coppola – della storia recente di Hollywood, I cancelli del cielo (Heaven’s Gate, 1980). In seguito l’attore sarebbe stato per lui ancora protagonista ne L’anno del dragone (Year of the Dragon, 1985) e in Ore disperate (Desperate Hours, 1990), rifacimento aggiornato dell’omonima opera del 1955 di William Wyler con Humphrey Bogart.

Michael Cimino, uno dei cineasti statunitensi più amati e più importanti della sua generazione (la cosiddetta “New Hollywood” degli anni Settanta, durante la quale la “politica degli autori” prevalse, anche se per poco, sulla “politica degli studios”) con alle spalle studi di architettura e di arte drammatica, accostatosi al cinema attraverso la realizzazione di documentari, un nome la cui aura pare racchiudere in sé tutta la potenza ed insieme l’“inconsistenza” del mezzo cinematografico, per molti autore di opere “epiche” ma con i piedi di argilla, una carriera racchiusa in poco più di vent’anni e dipanata finora (nel cassetto c’è ormai da tempo il leggendario adattamento de La condizione umana dell’amato André Malraux) all’insegna dei “cacciatori”. Già, ma cacciatori di cosa? Della bellezza. «Possa la bellezza essere davanti a me, possa la bellezza essere dietro di me, possa la bellezza essere sopra di me, possa la bellezza essere sotto di me, possa la bellezza essere intorno a me» afferma uno dei due protagonisti del suo ultimo film, Verso il sole (The Sunchaser, 1996, presentato in concorso alla 49ª edizione del Festival di Cannes), il carcerato e malato terminale Brandon “Blue” Monroe (Jon Seda) che si porta appresso come ostaggio per paesaggi western mozzafiato il medico Michael Reynolds (Woody Harrelson).

Quest’anno la Biennale di Venezia e Persol, sponsor della manifestazione, hanno attribuito al regista, sceneggiatore e produttore il premio Persol 2012 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, con l’intenzione di celebrare questa leggenda del cinema. Leggenda purtroppo legata più che alle opere fatte a quell’unica pellicola che ne recise di netto la parabola artistica (almeno da dietro la macchina da presa), ovvero il già menzionato I cancelli del cielo, definito dal protagonista Kris Kristofferson «il peggior assassinio di un film a cui io abbia mai assistito. Alla prima newyorkese fu trattato come spazzatura, i giornalisti sembravano tutti comprati dagli Studios, attaccarono non solo il film, che del resto avevano cominciato a demolire ancora prima che fosse finito, ma addirittura un modo di fare cinema».

Secondo Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema, il riconoscimento rappresenta «un tardivo ma doveroso risarcimento alla grandezza di un cineasta visionario, una delle voci più intense e originali del cinema americano degli ultimi quarant’anni, progressivamente ridotto al silenzio dopo l’insuccesso commerciale di un capolavoro al quale contribuirono gli stessi produttori con tagli insensati. In virtù di un talento immenso, Cimino ha esaltato l’arte della messa in scena e offerto dell’America un ritratto insieme critico e appassionato, lucido e coinvolgente».

Per l’occasione al Lido è stato ripresentato questo film nella nuovissima copia originale di 219 minuti restaurata digitalmente da Criterion sotto la supervisione dello stesso regista. La pellicola – struggente e ambizioso affresco sull’epopea del West, del quale smantella ogni idealizzazione – fu proiettata nella sua versione originale per una sola settimana a New York nel novembre 1980. La United Artists la ridusse in una versione di due ore e mezza, che fu poi messa in distribuzione nel 1981. Ne risultò una delle opere più controverse di tutti i tempi, che tuttavia negli anni seguenti fu oggetto di una revisione critica, fino a essere oggi considerata uno dei grandi classici della storia del cinema. «Dimmi James, li ricordi tu, i bei giorni andati?» «Ogni anno che passa, sempre di più, Billy». Sostituite ai “bei giorni andati” nome e cognome del regista e otterrete la battuta che tanti, almeno una volta nella loro esperienza di appassionati, avranno certo sospirato dopo la visione di uno dei primi tre film di Michael Cimino, il “cacciato(re) della bellezza”.