Il più bel film di ambientazione natalizia che io conosca si chiama L’Appartamento, commedia di esemplare struttura e tematiche profonde del regista viennese accasato a Hollywood – e maestro del genere – Billy Wilder. Applauditissimo esordiva nelle sale americane nel giugno del 1960. Ma quasi per nulla è film natalizio, questa commedia agrodolce di vago stampo lubitschiano; una delle più alte prove autoriali di Wilder. Solo lo sfondo della sua storia, puntellato da quei riti sociali inutili che si iterano sempre uguali di anno in anno, può suggerire quel senso di sospensione e circolarità del tempo che accomuna molti durante il periodo festivo di fine anno. Qualcosa di tutto ciò affiora in filigrana nel testo del film – in dialoghi e immagini – peraltro completamente incentrato sul tema delle varie forme di prostituzione implicita cui l’individuo è costretto dalla società dei consumi, da che essa esiste.

Il film si svolge in gran parte dentro, o nei dintorni di un appartamento da scapolo, abitato dallo zelante C.C. Baxter (Jack Lemmon), contabile di una mega impresa di assicurazioni sita in Manhattan, New York, Stati Uniti d’America. Dopo un’ampia introduzione databile alla fine del mese di ottobre, l’intreccio si dipana per intero durante la settimana di Natale e si conclude giusto la notte di Capodanno.

Nell’introduzione, Wilder caratterizza la situazione, mette in campo tutti gli ingredienti della storia. Baxter, “ciccibello” per gli amici, presta il proprio appartamento ad alcuni suoi diretti superiori, che lo usano per la loro scappatelle amorose. Questi, in cambio, lo segnalano tra i primi in graduatoria per gli avanzamenti di grado. Quando il capo della filiale scopre la faccenda, invece di licenziarli tutti, approfitta a sua volta dell’appartamento di Baxter, offrendogli protezione e opportunità di carriera. Il capo, infatti, ha bisogno di un pied-à-terre in città per riprendere la sua relazione – extraconiugale, ovviamente – con la ragazza dell’ascensore, miss Fran Kubelik (Shirley McLaine), di cui Baxter è innamorato.

La situazione esplode durante le feste natalizie. Fran, di fronte all’ennesima presa in giro del capo “piacione” (le da dei soldi perché si compri un regalo natalizio, lui non ne ha avuto il tempo), tenta il suicidio nell’appartamento. Viene trovata agonizzante da Baxter, rientrato tardi la notte di Natale, e quindi salvata con l’aiuto del dott. Dreyfuss, amico e vicino di casa. Così Baxter, discreto e servizievole come non mai, viene ben ricompensato dal capo; tutto infine pare tornato alla normalità. Ma in un estremo sussulto di giusto orgoglio, Baxter rinuncia alle prebende della facile carriera, ritornando così un mensch, come suggerito dall’amico dottore (tedesco), e trovando anche l’amore di Fran.

Il film segna una sorta di ritorno di Wilder al verismo del suo primo periodo europeo: per questa storia di sotterfugi e grettezze sceglie infatti il registro della commedia melodrammatica, utilizzando un formato panoramico in bianco e nero che enfatizza l’impatto realistico della messa in scena.

L’Appartamento è anche un manuale di sceneggiatura cinematografica a scena aperta, una miniera d’oro per ogni aspirante scrittore di cinema. Realizzato dal regista, su una sua idea di quindici anni prima, in collaborazione con il solito I.A.L. Diamond (il maestro degli sceneggiatori americani di allora), lo script è costruito come un grande romanzo dickensiano in cui tutto c’entra con tutto: anche gli elementi di dialogo in apparenza neutri, oltre a funzionare nell’insieme per dare buon ritmo e forma plausibile all’intreccio, servono anche e soprattutto a conferire sostanza e coesa struttura ai temi sottesi, pesanti come la difficoltà di essere sempre e comunque dei mensch, termine tedesco per “essere umano” usato dall’amico medico Dreyfuss, che crede Baxter un dongiovanni sconsiderato e lo catechizza per indurlo a cambiare vita.

Paradossale, ma non troppo, che un film del genere, così caustico nei confronti del costume della società americana dell’epoca, venga gratificato dall’Academy con cinque premi Oscar, tra cui tre di quelli principali: miglior film, regia e sceneggiatura.

L’Appartamento uscì in Italia nel dicembre del 1960. Anno di grazia per il cinema, poiché in quel solo anno uscirono pellicole epocali come La Dolce Vita (F. Fellini), Psycho (A. Hitchcock), Fino all’Ultimo Respiro (J.L. Godard), La Ciociara (V. De Sica), Tirate sul Pianista (F. Truffaut), Rocco e i Suoi Fratelli(L. Visconti), Tardo Autunno (Y. Ozu), L’Occhio che Uccide (M. Powell), e chicche di genere come La Maschera del Demonio (M. Bava), Ragazzo Tuttofare (J. Lewis) e La Piccola Bottega degli Orrori (R. Corman): il solo paragone con quanto uscito nell’anno appena trascorso lascia sgomenti.

La crescente “zalonizzazione” (nel senso di Checco Zalone, ma si potrebbe dire anche “pieraccionizzazione” o “aldogiovannigiacomizzazione”) del nostro cinema preoccupa molto i più sinceramente attaccati a esso come forma d’arte – soprattutto quella più popolare – e di linguaggio; tendenza comunque già in atto da diversi anni e riassumibile del termine concettuale di “comicizzazione”. Vale a dire che, ormai, il cinema italiano lo fanno quasi solo quelli che nascono in altri contesti e con altri linguaggi, dal teatro comico di cabaret alla tv di intrattenimento leggero, di taglio popolano. In tali altri contesti, i personaggi menzionati come i loro emuli meno noti sono competenti autori e capaci attori, ma chiediamoci cosa c’entrino con il cinema i loro lazzi e i loro frizzi.

In Italia più che altrove il fenomeno della contaminazione tra linguaggi di cinema e tv è in fase avanzata, forse irreversibile. Se in futuro il grosso del pubblico, progressivamente e colpevolmente dealfabetizzato dalla tv, sarà solo quello capace di leggere i film di questi comici, davvero il cinema – nella sua più piena accezione di arte e linguaggio – sarà allora alla fine del suo tragitto storico? Speriamo di no. Speriamo che nel medio-lungo periodo la magica lanterna possa metabolizzare dentro di sé queste tendenze, senza perdere la propria natura di consapevole sguardo narrativo.

Nel frattempo, se in questi giorni di festa qualche tv si ricorderà del caro vecchio Billy, si consiglia la visione del suo L’Appartamento a chi ancora non conosca questo autentico capolavoro della storia del cinema.