«To reach beneath the surface, and find the soul in need». «Andare sotto la superficie, e trovare l’anima nel bisogno». Con queste parole si conclude l’ultima recensione pubblicata dal grande critico cinematografico statunitense Roger Ebert (1942-2013) prima di congedarsi dalla propria attività e dalla vita. E chi nel suo autorevole giudizio è riuscito a «trovare l’anima nel bisogno» è stato il connazionale Terrence Malick (classe 1943) – il regista contemporaneo delle “domande ultime” per eccellenza – lungo i 112 minuti della sua ultima pellicola, To the Wonder (2012). Un titolo che non poteva quindi mancare nell’ambito del cartellone de “Il Cinematografo – Programmazione cinematografica in collaborazione con Sentieri del Cinema” proposto dalla 34ª edizione del Meeting di Rimini che quest’anno mette a tema l’“Emergenza uomo”: il lungometraggio sarà infatti proposto questa sera alle ore 21:30 in Sala Cinema Edison D3.
Il film – dopo il consueto, magnifico incipit (si potrebbe stendere una corposa monografia basandosi solo sull’analisi degli “inizi” delle finora sei opere malickiane) – tenta l’impresa di racchiudere all’interno della propria trama, quasi come un profondo scrigno che si schiudesse a mostrare i tesori che nasconde alla vista di occhi indiscreti (o, peggio, non “nel bisogno”), due tormentati rapporti affettivi dove il primo – la vicenda di Neil (Ben Affleck) e Marina (Olga Kurylenko) – trae densità e respiro dal secondo – il senso di impotenza e di aridità che investe l’esperienza di fede di padre Quintana (Javier Bardem), al quale dopo molte e insistenti suppliche elevate in proposito capiterà finalmente di riconoscere nel volto del prossimo cui accade di dare conforto o di prestare assistenza i tratti di Qualcuno che temeva di avere ormai definitivamente smarrito: «Dove mi stai conducendo? Insegnaci dove cercarti. Cristo, stammi vicino. Cristo davanti a me. Cristo dietro di me. Cristo in me. Cristo sotto di me. Cristo sopra di me. Cristo alla mia destra. Cristo alla mia sinistra. Cristo nel cuore. Assetati. Abbiamo sete. Inonda le nostre anime con i tuoi spirito e vita così completamente che le nostre vite possano solo essere un riflesso della tua. Splendi attraverso di noi. Mostraci come cercarti. Siamo stati fatti per vederti».
Quanto a tematiche affrontate, cultura dispiegata, sensibilità dimostrata, riferimenti richiamati, in questa curiosa figura di cineasta-filosofo sempre più sorprendente ci sembrano trovare la loro sintesi, il loro compendio – anche se occorsi come traiettoria nell’ambito di un diverso periodo storico del loro Paese – due dei percorsi più significativi che si possono rinvenire nell’avventurosa vicenda culturale statunitense, ovvero quello di Ralph Waldo Emerson (1803-1882), il padre della cosiddetta “religione americana”, e Herman Melville (1819-1891), il “baleniere letterato”, enciclopedico indagatore degli abissi del cuore dell’Uomo messo a confronto con la Natura.
Vero è che Terrence Malick, per la tensione morale facilmente rintracciabile nelle sue pellicole e per il carisma emanato dalla sua schiva e misteriosa figura, potrebbe essere a buon diritto consideratola figura emersoniana del cinema contemporaneo, anche solo considerando quella che è stata la seconda parte della sua carriera, inaugurata alla fine degli anni Novanta con La sottile linea rossa(The Thin Red Line, 1998) dopo un silenzio produttivo che durava ormai dalla fine degli anni Settanta.
Tornando al film, c’è chi, anche nelle file della critica italiana, non ha nascosto il proprio sentimento di malcelato “sollievo” per quello che – dopo la discussa accoglienza riservata all’opera allo scorso Festival di Venezia – è stato definito il primo passo falso della carriera artistica di Malick, al quale hanno subito rimproverato il solo anno intercorso – per quelli che sono i tempi abituali del regista texano – tra la Palma d’oro di The Tree of Life al Festival di Cannes 2011 e l’uscita di To the Wonder, ancora in fase di postproduzione al momento del conferimento del premio sulla Croisette. Al Lido, dove era presente in concorso, il film ha vinto il solo premio collaterale, e minore, assegnato a margine del Festival dal Signis (l’Associazione Cattolica Mondiale per la Comunicazione), venendo definito dai giurati «ricco e poetico nella narrazione… un film di assoluta originalità che celebra il mistero della bellezza, della verità e dell’amore. È una storia di uomini e donne che attraversano la vita con passione intensa». Andando sotto la superficie e trovando l’anima nel bisogno, aspetti che a ben vedere non necessitano di riconoscimenti festivalieri, ma di umanità in stato di emergenza.