Secondo di due articoli (clicca qui per il primo) che passano rapidamente in rassegna le principali pellicole date in uscita nelle sale cinematografiche italiane nel gennaio 2014: membri del cast artistico, elementi della trama, eventuali riconoscimenti assegnati, critiche internazionali ricevute (se si tratta di un film già uscito all’estero) ne fanno titoli tali da suscitare, oltre a una certa apertura di credito, una buona dose di interesse come appassionati. Quindi, nel caso vi lasciaste “sfidare” o guidare da queste poche righe, non ci resta che augurarvi buona visione, nella speranza di aver “visto giusto”…
Nebraska (2013, 115 min.), data di uscita 16 gennaio. Con il premio per la miglior interpretazione maschile assegnato a Bruce Dern (1936) alla 66ª edizione del Festival di Cannes (2013) ed essendo al momento tra i candidati ai Golden Globes quali migliori film (nella categoria musical/commedia), regia, sceneggiatura, attore protagonista (Dern) e attrice non protagonista (June Squibb), arriva finalmente in Italia l’ultimo film di Alexander Payne (1961). È la storia (in bianco e nero) dell’anziano Woody T. Grant (Dern), uno scorbutico dalla bottiglia facile, che vive a Billings (Montana), ma che tenta di scappare da casa per cercare di raggiungere Lincoln (Nebraska), città dove un avviso pubblicitario giunto per corrispondenza lo indica come il fortunato destinatario di una ricca vincita (un milione di dollari) della lotteria. I preoccupati familiari discutono lungamente circa il da farsi fino a quando David (Will Forte), il minore dei due figli e dal quale Woody si è ormai da tempo allontanato, contro il parere della madre e del fratello, decide di accompagnare il padre in auto: per i due sarà l’occasione di riavvicinarsi e riconciliarsi. Gran parte della critica l’ha indicata come l’opera più riuscita ed equilibrata del regista statunitense.
The Counselor – Il procuratore (The Counselor, 2013, 117 min.), 16 gennaio. La brevissima parabola di un avvocato in carriera che vede successo e tranquillità svanire al suo ingresso nel mondo della droga (il trasporto di 20 milioni di dollari di cocaina dal Messico agli Stati Uniti), alla ricerca di denaro “facile” con i complici Reiner e Westray dopo la proposta di matrimonio alla compagna Laura… Semplificando, un Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men, 2007, Joel e Ethan Coen) ma senza sceriffo Bell (Tommy Lee Jones), con il suo tanto trattenuto quanto doloroso disincanto a bilanciare la lucida follia del killer Chigurh, un angelo dell’Apocalisse, «un profeta della distruzione in carne e ossa». In compenso questa volta ci “godremo” Michael Fassbender (nel ruolo del titolo), Penélope Cruz (Laura), Javier Bardem (Reiner), Cameron Diaz (Malkina), Brad Pitt (Westray), Bruno Ganz (il commerciante di diamanti) e John Leguizamo (Randy) nella trasposizione cinematografica firmata dal 76enne Ridley Scott (che l’ha dedicata alla memoria del fratello Tony, scomparso mentre il film era in lavorazione) del primo testo steso appositamente per il grande schermo dall’ormai 80enne Cormac McCarthy (1933), qui impegnato anche nelle vesti di produttore. Una sorta di fulminante tragedia shakespeariana high-tech con contorno di teste mozzate sparse qui e là nelle asciutte e feroci 115 pagine della sceneggiatura (la versione italiana è targata Einaudi). Mette i brividi già solo sulla pagina, figuriamoci in immagini: «Beh, potendo scegliere tra guardare qualcuno allontanarsi lungo la strada e qualcun altro che viene lentamente decapitato da un dispositivo apparentemente progettato e brevettato nell’antro dell’inferno uno sceglie il secondo. Non c’è scampo. Magari pensi che dovresti distogliere lo sguardo. Ma poi non lo fai» (Reiner); «Credo di poter dire che ho visto di tutto, procuratore. Ed è sempre la stessa merda. […] Lo so. Ma il tempo non si ferma, procuratore. Il tempo è per sempre. E tutto quello che esiste un giorno svanirà. Per sempre. E del tempo si porterà dietro ogni spiegazione che mai fu concepita. […] Non mi dilungherò oltre, ma alla fine l’unica cosa che merita la tua preoccupazione è la sofferenza dei tuoi compagni di viaggio su questo treno per l’inferno» (Westray).
La mia classe (2013, 92 min.), 16 gennaio. La storia collettiva – ambientata nel quartiere romano del Pigneto – dell’esperienza di un professore di italiano (interpretato da Valerio Mastandrea) in una classe di scuola serale per emigranti e stranieri che vogliono imparare la nostra lingua. Per cercare di dire in breve dei motivi di interesse dell’ultima, “sperimentale” fatica del regista anconetano Daniele Gaglianone (classe 1966), conviene rifarsi direttamente al pressbook di Venezia 2013, dove il film è stato ospitato nella sezione “Giornate degli Autori”: un attore impersona un maestro che dà lezioni di italiano a una classe di stranieri che mettono in scena se stessi. Sono extracomunitari che vogliono imparare l’italiano, per avere il permesso di soggiorno, per integrarsi, per vivere in Italia. Arrivano da diversi luoghi del mondo e ciascuno porta in classe il proprio mondo. Ma durante le riprese accade un fatto per cui la realtà prende il sopravvento. Il regista dà lo “stop”, ma l’intera troupe entra in campo: ora tutti diventano attori di un’unica vera storia, in un unico film di “vera finzione”: La mia classe. Lo stesso Gaglianone tiene a ricordare che «[q]uando Valerio mi ha detto guardandomi negli occhi: “Gaglia, nel film ci devi essere anche tu”, l’ho mandato a quel paese. Ma poi ho capito che aveva ragione, che non potevo dire a un altro che cosa il regista del film doveva dire e fare, dovevo letteralmente metterci la faccia. Fare questo film è stata un’esperienza unica: tutti i giorni ripetevo sul set che stavamo rischiando grosso ma per qualcosa che ne valeva la pena, perché il film o funzionava o era inguardabile. Non c’erano vie di mezzo».
The Wolf of Wall Street (2013, 180 min.), 23 gennaio. Senz’ombra di dubbio un’altra delle attesissime uscite di questa stagione cinematografica: il biopic firmato da Martin Scorsese, interpretato nel ruolo del titolo da Leonardo DiCaprio (ormai giunto alla sua quinta collaborazione con il regista), assecondato da un cast che conta Jonah Hill, Kyle Chandler, Margot Robbie, John Bernthal, Jean Dujardin, Justin Wheelon e Matthew McConaughey (che si presta a uno straordinario cameo) e candidato ai Golden Globes – nella categoria musical/commedia – per il film e l’attore protagonista. Adattando per il grande schermo il libro autobiografico di Jordan Belfort, la pellicola racconta in tre ore la parabola di un “lupo finanziario” che nel 1987 costituisce una delle prime e più grandi società di brokeraggio, a partire dal 1994 viene allontanato vita natural durante da tutte le attività, per poi finire in carcere per frode e riciclaggio, essendosi rifiutato di collaborare nell’ambito delle indagini relative alle diffuse pratiche corruttive di Wall Street e del mondo bancario Usa negli anni Novanta. Ce la farà, a meno di trent’anni di distanza, il Belfort di DiCaprio filmato da Scorsese a entrare nell’immaginario (non solo cinematografico) collettivo con la prepotenza del Gordon Gekko di Michael Douglas (premio Oscar per il migliore attore protagonista) descritto da Oliver Stone (Wall Street, 1987), praticamente un “contemporaneo” rispetto ai fatti qui narrati?
Dallas Buyers Club (2013, 117 min.), 30 gennaio. Tratta da una storia vera, dopo il successo critico all’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma dello scorso novembre e attualmente in lizza per i Golden Globes – nella categoria film drammatico – per i migliori attore protagonista (Matthew McConaughey) e non protagonista (Jared Leto), ecco in sala la pellicola del canadese Jean-Marc Vallée. Nel 1985 al texano Ron Woodroof, elettricista e cowboy dalla vita sregolata, tocca ricevere una diagnosi di sieropositività e di pochissimo tempo di vita. Non volendosi arrendere davanti alla mancanza di cure autorizzate negli Usa, finisce in Messico, dove sono permesse terapie alternative con farmaci sperimentali. Nonostante la propria omofobia, trova un alleato per la sua battaglia nel giovane transessuale Rayon, anch’egli sieropositivo: aprono così un “buyers club” (un ufficio acquisti) per la commercializzazione di farmaci e articoli sanitari vietati dalle leggi statunitensi. Il regista ha dichiarato di essere rimasto «impressionato e catturato dal materiale riguardante Ron. Ho amato subito la sceneggiatura, coinvolgente e avvincente. Nonostante tutti i suoi difetti, sono stato conquistato da Ron e penso che anche per il pubblico sarà lo stesso. Non è un docudrama, né una biografia. Questa è una bella e appassionante storia che doveva essere raccontata. Ci riteniamo privilegiati e grati di aver partecipato a questo progetto.Dallas Buyers Club è una storia personale più grande della vita stessa. Una storia che toccherà il cuore di tutti».
(2- fine)