A Los Angeles, durante un turno notturno come se ne possono immaginare tanti altri dei suoi ultimi dodici anni, il solitario e metodico tassista Max carica sul proprio veicolo un nuovo cliente, il freddo e calcolatore Vincent: la prima fermata (di cinque che dichiara di avere in programma) è destinata però a rivelarne la vera professione. Sarà la netta svolta nella nottata di lavoro che fin lì si prospettava, l’incredibile avvio di una lotta per la sopravvivenza. E non solo…

Sono trascorsi dieci anni (era il 3 settembre 2004) dalla applauditissima proiezione fuori concorso a Venezia – nell’ambito della 61ª edizione della Mostra d’Arte Cinematografica – di Collateral, uno straordinario thriller d’azione che rappresenta una sorta di imprevedibile jam session in digitale (il 90% del film è girato in alta definizione) lungo le strade e i locali notturni della Città degli Angeli, dove brillano nei ruoli dei due protagonisti rispettivamente Jamie Foxx e Tom Cruise, mentre alla regia troviamo (chi altri se non) Michael Mann (1943).

«Tra le cose che mi fecero interessare al progetto c’era la compressione del tempo. Una sola notte, dalle 18:04 alle 4:20. Tutto cambia. È una collisione tra due vite. Tutto quel che sei stato e che credi di poter essere, tutto crolla nel corso degli eventi di una notte. […] Vincent si ritrova davanti un vero avversario sotto forma di questo tassista impacciato, che non ha mai sparato in vita sua, e questo perché Max ha visto dentro Vincent. Ha davvero visto Vincent per quello che è. Nel corso di questa notte, nel corso di questo spigoloso viaggio attraverso Los Angeles, la totalità di Max, chi è, chi è stato come uomo, e la totalità di Vincent, si scontrano e nessuno dei due sarà mai più lo stesso. In questa notte, tutto cambia».

Un taxi, due vite e un serratissimo confronto della durata di poco più di dieci ore. E pensare che non appena conclusa la lavorazione del precedente Alì (2001), eccezionale rivisitazione per fotogrammi di dieci anni della parabola umana e sportiva dell’omonimo campione di boxe, il cineasta statunitense aveva già sviluppato The Aviator, biopic dedicato ad un’altra titanica figura della recente storia Usa, il magnate Howard Hughes (1905-1976). Un progetto sorretto dalla brillante sceneggiatura firmata da John Logan – lo screenplayer di Ogni maledetta domenica (1999), Il gladiatore (2000) e L’ultimo samurai (2003) – e dal desiderio di poter finalmente girare con Leonardo DiCaprio. Eppure non lo abbandonava la sensazione che si sarebbe trattato di una replica di quanto già fatto.

Quel che lo attirava era la possibilità di sperimentare l’esatto contrario di biografie di personaggi storici così imponenti (si noti che Mann era stato indicato per la regia di Alì direttamente dall’attore protagonista, Will Smith): un microcosmo, nessun guardaroba, uno scontro che si consuma dentro un’auto, un piccolo lasso di tempo ma visto “in grande”. Con una struttura già definita – la sceneggiatura originale era di Stuart Beattie, poi rivista dapprima da Frank Darabont e successivamente dallo stesso Mann – e ai suoi occhi tremendamente attraente. Così finì per proporre a Martin Scorsese di passare dietro alla macchina da presa di The Aviator per potersi dedicare a Collateral.

«[…] E ora che ne sarà / del mio viaggio? / Troppo accuratamente l’ho studiato / senza saperne nulla. Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / ch’è una stoltezza dirselo»: è il nostro Eugenio Montale ma pare di vederci tutta la vita di Max, fino alla sera dell’incontro con Vincent. «Hey Max, un uomo sale sulla metropolitana qui a Los Angeles e muore… Pensi che se ne accorgerà qualcuno?» gli ricorda il suo antagonista all’apice del crescendo finale. Come ne scrisse Tullio Kezich all’uscita del film nelle sale italiane, «[s]empre in bilico fra ispirazione e rispetto dei codici di un genere usurato, Mann firma uno di quei film che per l’originalità dello spunto e l’estro della fattura si ricordano dopo anni».

Fosse anche solo – ma non è così – per l’improvvisa apparizione di un coyote che indisturbato attraversa la strada, mentre si è fermi ad un semaforo, in attesa di come la storia andrà a finire, sotto gli strani schemi di luce di un ambiente “fiabesco” e abbandonato… Da antologia.