Compie oggi sessant’anni Night of the Hunter (La morte corre sul fiume in italiano), unica regia di Charles Laughton, attore britannico proveniente dal teatro molto attivo a Hollywood dagli anni Trenta ai primi Sessanta, soprattutto come interprete caratterista del genere noir di quel florido periodo, infatti ben utilizzato anche da maestri come Hitchcock, Billy Wilder e Otto Preminger. Causa un fortunato concentrarsi di varie circostanze, questo suo singolare e tardo cimento alla regia rimane e rimarrà un unicum nella storia del cinema, di forte impatto visivo e peculiare andamento narrativo.

Night of the Hunter richiama nello stile le migliori opere delle avanguardie storiche, stile personalmente rivisitato da Laughton in modo da fare del film un testo veramente a sé, non paragonabile a nulla e non classificabile in nessun genere codificato.

Il film narra, tra il fiabesco e il noir, del finto predicatore evangelico Harry Powell (Robert Mitchum) – in realtà un delinquente plagiatore di vedove denarose – e del suo tentativo di impossessarsi del bottino di una rapina, quella cui ha partecipato il suo temporaneo compagno di cella Ben Harper. Morto quest’ultimo e uscito di galera, Powell, nelle vesti del suddetto predicatore, seduce abilmente e sposa Willa (Shelly Winters), la vedova di Harper. Il denaro della rapina si trova nella bambola di pezza dei due figli degli Harper, e Powell non tarda a scoprirlo, e quando la vedova Willa capisce le sue vere intenzioni è ormai tardi. Viene uccisa e gettata con l’auto nel fiume, ma i figli (un ragazzino e una bambina) riescono a fuggire con la bambola.

Discendono in barca, nottetempo, il corso del fiume Ohio. Trovano al fine asilo presso l’anziana Rachel (Lillian Gish), che li difende dalle richieste bramose di Powell (dice di esserne il padre, ma Rachel non ci casca). Grazie al coraggio di Rachel, Powell viene infine scoperto e arrestato, rischiando il linciaggio dagli stessi paesani che, affascinati dal suo (finto) carisma di predicatore, lo avevano prima osannato.

Il critico Bruno Fornara (personalmente ascoltato svariate volte con grande piacere) ha definito Night of the Hunter un “film misterioso di grande complessità polifonica, dove confluiscono più generi e tradizioni. Due sono i percorsi evidenti: la storia nera e il racconto infantile e fiabesco”. A essi si aggiunga l’ambientazione bigotta e puritana della provincia sudista degli Stati Uniti, che fa da sfondo alla vicenda e incarna un terzo percorso tematico: la critica a quel tipo di mentalità ristretta. Infatti, Powell/Mitchum rifiuta di consumare le nozze con la vedova di Harper, accusandola di pensieri impuri e di eccessivo attaccamento ai beni materiali, mentre è lui ad avere intenti truffaldini; e poi, alla fine, la folla del paese lo abbatte con la stessa cieca faciloneria con la quale, fino a poco prima, aveva abboccato ai suoi ben intonati sermoni.

Ma lo maravilioso di questo singolare film risiede nella sua straordinaria messa in scena, che non trova eguali nel cinema dell’epoca, forse nemmeno in quello di nessun altra. Charles Laughton, con il fondamentale apporto del direttore della fotografia Stanley Cortez, costruisce un mondo fiabesco a sé stante, fatto di luci folgoranti e ombre nette, tagli di chiaro e di scuro capaci di creare inusuali tracce a forte valenza metaforica (quasi metafisica) dentro lo spazio fisico ordinario e quotidiano, dentro ai normali piani larghi degli interni o dei primi piani dei protagonisti. Il regista ripesca così, a suo modo, l’estetica dell’espressionismo tedesco e del surrealismo di Bunuel e Jean Vigo (la morta sott’acqua con i capelli che fluttuano come alghe), intessendo un racconto tutto guidato dalla luce artefatta (nel senso di “fatta ad arte”) del Cinema, nel quale l’orrore desta meraviglia e la quotidianità si volge con facilità in orrore.

Nel tutto si rintracciano anche vaghe influenze del cinema scandinavo (il bestiario notturno della palude), ma anche del primo cinema narrativo americano di Griffith; non a caso l’anziana saggia che smaschera il farabutto è interpretata da Lillian Gish, attrice che quarant’anni prima compare in tutti i principali film griffithiani.

Nonostante Night of the Hunter sia da annotare sulla prima pagina del Libro d’Oro dei Capolavori assoluti del Cinema, ebbe una scarsa presa sul pubblico, e il suo insuccesso commerciale impedì a Laughton di continuare la sua carriera di regista. Certi siamo che la citazione intelligente presente in Kill Bill Vol. 1 (2002) del più cinefilo di tutti Quentin Tarantino – quel “fuck” tatuato sulle nocche del personaggio che si fa “la sposa” mentre è in coma all’ospedale, che richiama chiaramente i tatuaggi “hate” e “love” sulle nocche del predicatore impersonato da Robert Mitchum – è sfuggita ai più. Non importa, nel testo di Tarantino era chiara come il sole, rappresentava un sentito omaggio alla grandezza del film di Laughton, e tanto basta.

Insomma, Night of the Hunter è semplicemente Night of the Hunter, esemplare unico e prezioso come un diamante, luminoso più della luna pallida d’agosto, va visto e basta. Si invita chiunque ancora non conosca questo capolavoro della settima arte – che sia dotato di un seppur minimo interesse per essa in quanto tale – a vederlo al più presto, non si pentirà certo di un bel tuffo nel Cinema puro, di un salutare break sospensivo dell’overdose di immagini inutili che riempie il nostro orizzonte quotidiano.