Oggi, in uno degli eventi collaterali in programma nell’ambito della 72ª edizione della Mostra del Cinema in corso a Venezia, il Premio “Pietro Bianchi” dei Giornalisti Cinematografici Italiani verrà assegnato a Ermanno Olmi. La cerimonia sarà seguita dalla proiezione dei 50 minuti del backstage dell’ultimo lungometraggio dell’ottantaquattrenne cineasta, Torneranno i prati (2014). Guardando alla sua carriera, che occupa un arco di ormai più di sessant’anni, non si può certo affermare che il Festival veneziano sia stato avaro di riconoscimenti nei confronti del regista e sceneggiatore di origini bergamasche. Restando ai premi maggiori, si possono infatti ricordare il Leone d’Argento del 1987 per Lunga vita alla signora! (ex aequo con Maurice di James Ivory), il Leone d’Oro del 1988 per La leggenda del santo bevitore (tratto dal racconto omonimo di Joseph Roth) – ventidue anni dopo l’ultima vittoria di un film italiano (La battaglia di Algeri, 1966, Gillo Pontecorvo) – e il Leone d’Oro alla carriera del 2008.
Nato a Bergamo il 24 luglio 1931, quando ha circa tre anni il padre ferroviere si deve trasferire a Milano, dove nell’ottobre 1944 muore in seguito a un bombardamento, mentre la madre viene a mancare cinque anni dopo. A quel punto il diciottenne Ermanno – che per mantenersi trova un impiego alla Edisonvolta, occupandosi di attività ricreative – viene aiutato dalla nonna materna e da una sorella della mamma. Inizia anche a raccogliere le prime soddisfazioni di carattere lavorativo, un buon stipendio e premi in denaro per i documentari di cui cura la realizzazione per conto della Sezione Cinema (da lui fondata) dell’azienda: tra il 1953 e il 1961 ne firma a vario titolo circa una trentina, raccontando con incanto e vigore il passaggio del nostro Paese dalla tradizione rurale alla modernità industriale.
Il suo lungometraggio d’esordio – sempre prodotto dalla Edisonvolta e ambientato nel cantiere di una diga ai piedi dell’Adamello – è Il tempo si è fermato (1959): Come il pane fatto in casa titola la sua recensione su “La Notte” Morando Morandini. Il primo, vero film – con cui giungono il successo e la notorietà (anche internazionale) – è però Il posto (1961), vicenda quasi autobiografica dell’approdo al “posto” in una grande azienda cittadina da parte di un giovane provinciale. Quello stesso anno, per preservare la propria libertà creativa, grazie anche all’aiuto di alcuni amici (tra cui Tullio Kezich), il trentenne Olmi fonda la casa di produzione “22 Dicembre” (dal giorno in cui si reca a firmare presso il notaio), che nel 1965 verrà poi assorbita dalla Titanus, a sua volta acquistata dalla Edison.
La “trilogia sul lavoro” viene chiusa da I fidanzati (1963, amatissimo da Martin Scorsese e che Jean-Luc Godard pone tra i dieci migliori film in assoluto), la storia di Giovanni e Liliana, che scoprono la sincerità dell’affetto che li lega attraverso un periodo di lontananza a motivo del lavoro di lui, che lo porta per un anno e mezzo da Milano in Sicilia. Nel 1965 Harry Saltzman, uno dei due produttori della serie cinematografica di James Bond, gli propone di girare un film sulla vita di Giovanni XXIII, scomparso da poco: ne nasce E venne un uomo, una biografia che segue come traccia Il giornale dell’anima, il diario di Papa Roncalli che Olmi riceve da Loris Capovilla, storico segretario del Pontefice.
Se Racconti di giovani amori (1967) è la rielaborazione per la sala di tre episodi televisivi realizzati per conto della Rai, il successivo Un certo giorno (1968) rappresenta – a detta di molti – la sua opera più matura prima della definitiva consacrazione de L’albero degli zoccoli (1978, recitato in dialetto bergamasco da attori non professionisti, Palma d’oro al Festival di Cannes). Siamo ormai a cavallo di quegli anni Sessanta e Settanta che lo vedono impegnato in altre tre pellicole: I recuperanti(1970), su soggetto e sceneggiatura elaborati con gli amici Mario Rigoni Stern e Tullio Kezich,Durante l’estate (1971), che si rivela un insuccesso sia di critica che pubblico, e La circostanza(1973), dove l’avvenimento del titolo è quello di un avventuroso parto intorno al quale si intrecciano altri eventi dei membri della stessa famiglia.
Dopo il premio sulla Croisette nel 1978, il regista spiazza tutti dedicandosi a Camminacammina(1983), allegorica rivisitazione della vicenda dei Re Magi girata tra Volterra, le Alpi Apuane e la Maremma. Nel giugno 1984 è colpito dal morbo di Guillan-Barré, che gli causa una completa paralisi muscolare. Lasciatasi faticosamente alle spalle una lenta e lunga convalescenza, rientra nel mondo del cinema con i già citati Lunga vita alla signora! (1987) e La leggenda del santo bevitore(1988), mentre negli anni Novanta sceneggia e dirige Il segreto del bosco vecchio (1993), dal breve romanzo omonimo di Dino Buzzati, e Genesi: la creazione e il diluvio (1994), opera televisiva che passa poi anche in sala, interpretata da Omero Antonutti e da gente comune del Marocco (dove il film è girato e ambientato).
Ma due sorprendenti “colpi da maestro” arrivano nei primissimi scorci del nuovo millennio, con Il mestiere delle armi (2001), ovvero li ultimi fatti d’arme dello illustrissimo signor Joanni da le Bande Nere– che manca di un soffio la Palma d’oro a Cannes (a favore de La stanza del figlio di e con Nanni Moretti) e vince nove David di Donatello nel 2002 (migliori film, regia, sceneggiatura, produzione, fotografia, musica, montaggio, scenografia e costumi) – e Cantando dietro i paraventi (2003), atipica storia di pirati nella Cina imperiale di fine Settecento. Due anni più tardi firma il primo episodio diTickets (2005), un film collettivo con la regia (anche) di Abbas Kiarostami e Ken Loach, interpretato da Carlo delle Piane e Valeria Bruni Tedeschi. L’altra bella sorpresa è data da Centochiodi (2007), i cui umanissimi personaggi insegnano che ci sono lacrime e lacrime e che tra malinconia e nostalgia ce ne passa (come cantava anche Roberto Vecchioni: «Non si è soli quando un altro ti ha lasciato, si è soli se qualcuno non è mai venuto»): l’esatta distanza che separa una possibile (ennesima) fine da un potenziale (nuovo) inizio.
Il villaggio di cartone (2011) e il già menzionato Torneranno i prati (2014) sono invece storia recentissima. A chi una volta gli ha chiesto cosa si sentisse di augurare al cinema, “l’aspirante cristiano” Ermanno Olmi ha risposto: «Gli auguro di avere degli artefici reali, che non usino il cinema per imbrogliarci, per orientarci secondo scelte che non ci rendono liberi, e quindi auspico un cinema che sia amico degli spettatori. Amico. A-mi-co». Un augurio che nel suo specifico caso – tra esiti certo alterni – si è rivelato come ben più della semplice messa in pratica di un buonissimo proposito.