«È la storia di tre uomini che, sullo sfondo della guerra di Secessione, inseguono un tesoro e combattono una loro guerra privata. Grande e piccola Storia si incrociano, come sempre nei miei film. […] [D]ella “trilogia del dollaro” è l’episodio più complesso e completo, quello in cui ho raggiunto pienamente quel tono picaresco che rappresentava il mio obiettivo principale. E poi, il film contiene una sequenza, quella del “triello” [il celebre duello triangolare finale, ndr], che mi ha dato grandissime soddisfazioni. Pensi che all’Università del Cinema di Los Angeles gli studenti la esaminano fotogramma per fotogramma: costituisce un esempio di montaggio».



C’erano una volta Sergio Leone, la sua trilogia e, quindi, anche Il buono, il brutto, il cattivo: venerdì 23 dicembre 1966, antivigilia di Natale. Ai tempi, divieti per i minori permettendo, per i moltissimi che avevano giocato o giocavano allo sceriffo e al pistolero in strada o allo specchio, il regalo erano il centinaio di lire di mamma o papà in tasca o strette in pugno, un cinema dove entrare senza badare troppo all’orario, un fascio di luce puntato su uno schermo a fendere una spessa coltre di fumo e un’avventurosa storia fatta di pistole roventi e cavalli al galoppo dritta dritta dal “vecchio West”.



Poco importa che quest’ultimo, da un certo punto in poi, coincidesse in realtà con i deserti e le sierras di Spagna: era il cosiddetto “spaghetti western”, il «filone più bizzarramente sotterraneo mai concepito dal cinema italiano» (Oreste De Fornari). Non era però solo questione di posti, ma anche di dialoghi, talvolta più letali delle stesse pallottole: come scrive Francesco Mininni, nel caso dei film leoniani «[s]ono proverbi, motti di spirito, battute fulminanti che servono a delineare i personaggi e le situazioni […]. Se è vero che l’idea che il regista ha del western prevede molta azione e poco dialogo, è anche vero che quel poco deve essere tale da colpire la fantasia dello spettatore».

E allora perché non (ri)gustarci una selezione proprio di quelli dell’ultimo capitolo della famosa trilogia? Per prima cosa le dramatis personae (strettamente del titolo, si intende): “il buono”, il Biondo; “il brutto”, Tuco (Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez); “il cattivo”, Sentenza. E adesso, mettete pure da parte i botti di Capodanno e spazio alle pistole… ehm, alle parole:

– «Ecco, tieni, questi sono i tuoi cinquecento dollari» «Ah, già, dimenticavo: lui me ne ha dati mille. Sai, voleva che io ti ammazzassi. Il guaio è che quando uno mi paga, gli porto sempre a termine il lavoro. E tu dovresti saperlo»

– «Ehi tu! Lo sai che la tua faccia somiglia a quella di uno che vale duemila dollari?» «Già! Ma tu non somigli a quello che li incassa».

– «Il mondo è diviso in due, amico mio: quelli che hanno la corda al collo e quelli che la tagliano. Solo che il collo dentro la corda è il mio. Sono io che rischio. Perciò la prossima volta voglio più della metà» «Sì, è vero che tu rischi, ma io taglio e… se tu mi abbassi la percentuale… – sigaro? – beh, potrei sbagliare la mira» «Ma se sbagli, devi sbagliare sul serio. Perché chi mi frega e poi non mi ammazza, vuol dire che non ha capito niente di Tuco. Niente!».

– «Non basta una corda a fare un impiccato» «Cosa volete dire?» «Che anche uno straccione come quello ha il suo angelo custode. Un angelo biondo che veglia su di lui».

– «Quanto?» «15 dollari» «No…» «50 dollari» «Hai detto?» «100 dollari… 200 dollari! È tutto quello che ho: ecco qui!».

– «Sto cercando un mezzo sigaro con dietro la faccia di un gran figlio di cagna, alto, biondo e che parla poco!».

– «Gli speroni si dividono in due categorie: qualcuno passa dalla porta… e qualcuno dalla finestra».

– «Lo riconosci questo occhiello, Biondo?».

– «Acqua… Acqua… Acqua… Te la pago in dollari… duecentomila».

– «È morto… Io ti ammazzo!» «Io… io non lo farei se fossi in te. Se mi ammazzi adesso, resti… resti quel pezzente che sei per tutta la vita» «Eh! Cosa ti ha detto?» «Ha detto un nome… sopra una tomba»

– «Io dormirò tranquillo perché so che il mio peggior nemico veglia su di me».

– «È un bel tipo, mio fratello. Ah, sì, perché non te l’avevo detto, ma il capo qui è mio fratello. Insomma, a Roma c’è il Papa e qui c’è mio fratello».

– «Urrà! Evviva la Confederazione! Evviva il Sud! Morte ai Nordisti! Evviva il generale… – eh, come si chiama?» «Lee» «Il generale Lee! Dio è con noi, perché anche Lui odia gli yankee! Urrà!» «No, Dio non è con noi, perché anche Lui odia gli imbecilli».

– «I tipi grossi come te mi piacciono perché quando cascano fanno tanto rumore».

– «Per te la guerra è finita. Mettiti quei vestiti» «Perché?» «Perché adesso ce ne andiamo» «Dove?» «Verso duecentomila dollari d’oro. Io so il nome di un cimitero e tu quello di una tomba».

– «Se i tuoi amici restano all’umido, si beccano un raffreddore… o una pallottola» «Sentito, ragazzi! Venite fuori!» «Visto che facciamo la stessa strada è meglio farci compagnia. Uno, due, tre, quattro, cinque e sei. Sei: numero perfetto» «Non è tre il numero perfetto?» «Sì, ma io ho sei colpi qui dentro».

– «Quando si spara, si spara. Non si parla» «Ogni pistola ha la sua voce… E questa la conosco… […] Levati la pistola e mettiti le mutande».

– «Ah, Biondo! Io lo sapevo che preferisci lavorare con me invece che con quel porco. Vado, l’ammazzo e torno» «Ah, senti, dimenticavo un particolare: Sentenza non è solo, sono in cinque» «Cinque?» «E tutti svelti» «Per questo sei venuto da Tuco… Non fa niente! Li ammazzo tutti!»

– «State attenti. Sono in due. E non vengono per discutere»

– «”Ci ri-ve-dre-mo i-di…”» «”…idioti”. È per te».

– «Ehi, Biondo! Quel capitano sembra proprio che stia cercando la pallottola giusta» «Mai visto morire tanta gente tanto male» […] «Bevi un goccio, capitano. Tieni le orecchie aperte… Facciamo un po’ di rumore».

– «Vedi, il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica… e chi scava… Tu scavi» «Dove? “Sco-no-sciu-to”. Ma questa è senza nome!» «Anche questa qui. Carson aveva detto solo la tomba senza nome vicino a quella di Stanton. Scava».

– «Stai scherzando, vero, Biondo, tu mi vuoi fare uno scherzo, eh?» «Non è uno scherzo, è una corda. Su, avanti, mettici dentro il collo, Tuco».

– «Ehi, Biondo! Lo sai di chi sei figlio tu? Sei figlio di una grandissima putta… ah ah ah». 

Eh, già, tra battute e dialoghi, ci si stava dimenticando dell’imprescindibile partitura del maestro Ennio Morricone, cinquant’anni prima (pure qui) del suo primo, vero premio Oscar per la migliore colonna sonora: ce n’è voluto perché finalmente dei “bambini cresciuti” tributassero – almeno indirettamente – un riconoscimento a questi «film per adulti ma [che] restano favole e hanno l’impatto delle favole». C’era una volta…