La recente vicenda della squalifica per tre giornate dei giocatori Lavezzi (Napoli) e Rosi (Roma) nella scorsa giornata di campionato, riaccende i riflettori sull’utilizzo della c.d. “prova televisiva” per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari da parte del Giudice Sportivo per comportamento violento ed antisportivo tenuto dai tesserati durante lo svolgimento di un incontro di calcio. I fatti sono noti: secondo la ricostruzione del Giudice Tosel le riprese mostrano (sebbene in maniera non nitida) i due calciatori che si prendono reciprocamente a sputi.

La scena, essendosi svolta a palla lontana e fuori dalla portata visiva dell’arbitro Bergonzi (le ammonizioni ai due giocatori sono, infatti, derivate dalle successive spinte che i due si sono dati a seguito dei predetti fatti) , può essere così trasmessa dalla Procura Federale al Giudice come prova ai sensi dell’art. 35, comma 1.3 il quale, nella sentenza con cui scrive: “Le immagini acquisite non consentono di determinare con assoluta certezza in che misura ed in quale zona del corpo gli sputi abbiano effettivamente colpito il loro rispettivo destinatario, ma tale circostanza è ininfluente ai fini della valutazione disciplinare. Infatti, per costante orientamento interpretativo degli Organi di giustizia sportiva, lo sputo deve considerarsi a tutti gli effetti una condotta violenta, i cui estremi possono essere integrati anche se il deprecabile intento non abbia raggiunto l’obiettivo. Dunque considerando l’ accentuata antisportività di tali condotte ne consegue l’ammissibilità della prova televisiva e la sanzionabilità delle condotte segnalate”. Ovviamente le ripercussioni peggiori da questo provvedimento le avrà il giocatore partenopeo che, se sarà confermata anche in appello la suddetta condanna, dovrà saltare il big match con il Milan.

Per tali motivi, la società di De Laurentis ha presentato appello avanti la Corte dio Giustizia Federale. Quali possono essere i motivi su cui i difensori del Napoli (quelli in toga, non Cannavaro ed Aronica) potranno basare la loro strategia? Sicuramente non l’attenuante della c.d. provocazione: è evidente che, anche qualora venisse provato con altre immagini l’iniziale provocazione del giocatore giallorosso, la reazione di Lavezzi risulta essere sproporzionata e comunque violenta e antisportiva. Difficile anche fare passare la linea della c.d. “buona condotta generale” tenuta dal calciatore per due motivi: primo, Lavezzi non è nuovo a squalifiche e, pertanto, il suo comportamento sarebbe sicuramente classificato come “recidivo”.

 

Del resto, senza andare troppo lontano, nemmeno l’Inter riuscì a togliere le 3 giornate di squalifica ad Eto’o per la reazione violenta nei confronti del giocatore del Chievo Caesar. L’Inter, infatti, nel proprio ricorso, fece notare ai giudici di appello il fatto che il giocatore camerunense non aveva mai ricevuto un cartellino rosso in tutta la sua carriera e che, a seguito delle iniziative benefiche da lui promosse, rappresentasse ormai un modello per i giovani di correttezza e sportività sia dentro che fuori dal campo. Nemmeno il fatto che lo stesso, nel dopopartita, dichiarasse ai microfoni il suo pentimento, riuscì a fare cambiare idea alla Corte Federale che confermarono la squalifica inflitta dal Giudice Sportivo.

 

Risulta così evidente, e forse più ragionevole, che il Napoli fonderà il proprio ricorso contestando la certezza della prova con cui è stato punito Lavezzi, facendo notare come le immagini televisive utilizzate come prova, non dimostrano la sussistenza, e quindi la punibilità, del fatto violento (sputo) commesso dal giocatore. Ovviamente, il tutto è lasciato alla alla valutazione dei giudici che, oltre alle memorie difensive, potranno valutare ulteriori immagini portate dalle difese stesse. Certo è che, al di là dell’esito della vicenda (che potrà confermare o ridurre le giornate inflitte al “Pocho”), resta l’amarezza e lo sconforto per certi atteggiamenti antisportivi che, sempre più frequentemente, si vedono sui nostri campi di calcio e che, a prescindere dalle condanne inflitte dagli organi di giustizia, vanno comunque censurati.