La recente squalifica inflitta al giocatore dell’Inter Christian Chivu per comportamento antisportivo, ha riportato l’attenzione sulla cosiddetta “prova televisiva” che, nel caso del calciatore rumeno, è stata determinate nell’irrogazione della sanzione disciplinare da parte del Giudice Sportivo. I fatti sono ormai noti: al 13’ del secondo tempo di Bari Inter (valida per la 23° giornata del campionato di serie A), il difensore nerazzurro colpiva alle spalle con un pugno il calciatore avversario Marco Rossi, durante un’azione di gioco ma a palla lontana. Il gesto violento di Chivu, però, sfuggiva agli occhi dell’arbitro (che, pertanto, non lo segnalava all’interno del proprio referto di fine gara), ma non di certo alle decine di telecamere che, oramai, fanno sembrare il campo di calcio come il set del “Grande Fratello”. 

Tutto cominciò il 18 settembre del 1999 a Perugia, dove il giocatore di casa Ibrahim Ba rifilò una testata al cagliaritano Macellari senza essere visto dall’arbitro Collina (già, proprio lui!). In quell’occasione, per la prima volta, il Giudice Sportivo inflisse al reo ben 3 giornate di squalifica, basando il proprio giudizio proprio sulle immagini raccolte dall’emittente televisiva che stava riprendendo la partita, anche se però, fino al 2002, erano le TV che segnalavano ai Giudici le immagini e non la FIGC stessa (si diceva, infatti, che fossero i “moviolisti” a pilotare le espulsioni….poi lo avrebbero detto di altri, ma questa è un’altra storia!).

Da allora, l’utilizzo delle riprese audiovisive per fini disciplinari si è evoluto fino a trovare uno specifico collocamento all’interno dell’ordinamento giuridico sportivo.  Innanzitutto, però, una doverosa premessa: solo ciò che sfugge all’arbitro può essere utilizzato come “prova televisiva”. Questo per rimarcare ancora una volta il ruolo di giudizio supremo dell’arbitro rispetto a quello che viene visto e sanzionato in campo e che, fino a prova contraria, risulta insindacabile ed indiscutibile, per lo meno fino al fischio finale.

Ma come viene regolato l’utilizzo di queste immagine da parte degli organi della Giustizia Sportiva? Innanzitutto occorre capire quali immagini possono essere utilizzate come “prova televisiva” e chi le può trasmettere al Giudice Sportivo per essere esaminate. Rispetto al primo profilo l’art. 35 del Codice di Giustizia Sportiva stabilisce chiaramente che possono assurgere a “prova televisiva” non solo le immagini delle riprese televisive, bensì anche altri filmati che offrano piena garanzia tecnica e documentale e filmati di documentata provenienza (ad esempio filmati amatoriali o ripresi da circuiti interni dello stadio). In secondo luogo, sarà compito del Procuratore Sportivo attivare il Giudice Sportivo attraverso la consegna a quest’ultimo (entro le ore 16,00 del giorno feriale successivo a quello della gara) delle immagini inerenti a condotta violenta o gravemente antisportiva o concernenti l’uso di espressioni di blasfemia non visti dall’arbitro.

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Tale diritto di impulso, però, può essere concesso anche alle società sportive le quali, negli stessi termini temporali di cui sopra, potranno – previo versamento di una tassa di € 100,00 – depositare presso il medesimo ufficio giudiziario “una richiesta per l’esame di filmati di documentata provenienza”, anche per potere dimostrare che il proprio calciatore non ha commesso il fatto incriminato, ovvero che lo stesso è stato posto in essere da un altro tesserato. Riguardo, infine, ai fatti che possono essere oggetto di “prova televisiva”, dato per chiaro cosa si intende per blasfemia  – anche se, purtroppo, a parere di chi scrive in questi casi non viene quasi mai utilizzata visti i “labiali” non certo da seminaristi di certi calciatori (Di Carlo e Lanzafame furono i primi a farne le spese, ma poi, stranamente, certe immagini non sono più finite sulla scrivania di Tosel…) e per condotta violenta, sempre l’art. 35 del Codice di Giustizia Sportiva si sofferma nel chiarire il concetto di “condotta gravemente antisportiva” ai fini dell’applicazione della disciplina in tema di prova televisiva.

Ebbene, per tale norma, sono da considerarsi tali le condotte di evidente simulazione dalla quale scaturisce o l’assegnazione di un calcio di rigore (lo juventino Krasic ne sa qualcosa) o l’espulsione di un avversario, oppure quando si realizza un goal colpendo volontariamente con la mano (Gilardino in Palermo-Fiorentina di qualche anno fa) o, da ultimo, quando con la stessa si impedisce una rete. Passando all’impianto sanzionatorio, una volta acquisite le immagini e acclarato che le stesse sono sfuggite all’arbitro e che rientrano nelle fattispecie di condotta violenta, antisportiva o blasfema, il Giudice Sportivo ha diverse possibilità: applicherà l’art. 19 comma 4 lett. b) del Codice irrogando tre giornate di squalifica o a tempo determinato in caso di condotta violenta tenuta da calciatori nei confronti di altri tesserati o altri soggetti presenti all’incontro. Oppure, ai sensi della lettera c) del medesimo articolo, comminare ben cinque giornate in casi di condotta particolarmente grave. Da ultimo, per effetto dell’art. 19 comma 1 lettera e), sanzionare con una squalifica non inferiore a 4 giornate di gara in caso di gravità della condotta violenta.  In aggiunta, il Giudice può altresì sanzionare il reo con una ammenda pecuniaria. Nel caso del difensore dell’Inter Chivu, il Giudice ha applicato il primo degli articoli citati (l’art. 19 comma 4 lettera b), giudicando “del tutto avulso dall’azione di giuoco, palesemente intenzionale e potenzialmente lesivo per l’energia impressa e la delicata zona del corpo colpita”.

 

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Ovviamente, così come accade nella giustizia ordinaria, il Giudice, nell’irrogare la sanzione, dovrà tenere conto di tutte le circostanze attenuanti ed aggravanti. Tra le prime, che spesso vengono utilizzate negli eventuali ricorsi che potranno essere proposti in secondo grado di giudizio dalle società sportive. Tra questi, appaiono sicuramente i più efficaci, tutti quegli episodi che possono dimostrare una sorta di “provocazione” o “eccesso di difesa” che, se bene dimostrate e articolate dagli avvocati difensori, possono portare a forti sconti o diminuzioni nella pena. In sostanza: sono stato provocato e, seppur violentemente, ho reagito!

 

Un po’ quello che è successo a un altro giocatore interista, Eto’o, il quale venne squalificato per 3 giornate e condannato a € 30.000,00 di ammenda per avere colpito con una testata il veronese Cesar nel corso della partita Chievo-Inter dello scorso novembre. Il ricorso dei legali dell’Inter si basò sul fatto che l’attaccante camerunense venne dapprima provocato dall’avversario con un pugno sulla spalla, identificando così una sorta di attenuante nel comportamento del calciatore. La decisione di appello, pur confermando la squalifica delle tre giornate, eliminò la multa pecunia.

L’Inter, però, nel caso di Chivu non ha voluto presentare ricorso. Le motivazioni della società campione d’Italia sono state di natura etica (un must di casa nerazzurra), sottolineando il fatto che, comunque, il calciatore si era subito pentito e scusato davanti ai microfoni dei giornalisti e di persona con il giocatore del Bari (troppo poco, per valere come sconto di pena in sede di appello….). Appare comunque evidente che, nel caso di specie, difficilmente ci sarebbero stati gli elementi per dimostrare attenuanti nella condotta violenta e riprovevole del calciatore romeno.

In conclusione, sottolineando che la prova televisiva così descritta può applicarsi anche ai campionati dilettantistici e del settore scolastico (ma solo per blasfemia e condotta violenta), non resta che sperare che, tale strumento probatorio, oltre che punire severamente (forse un po’ di più) certi episodi che nulla attengono con lo sport, possa fungere da deterrente per chi, sui campi di calcio, tenta di “farla franca”.

(Avv. Matteo Pozzi