Con lo scudetto assegnato al Milan e gli ultimi verdetti in chiave europea e retrocessione, il sipario sul campionato di calcio di serie A 2010-2011 sembra essersi ormai chiuso, per lo meno per quanto riguarda le partite giocate sul rettangolo verde. Ed infatti, un altro importante scontro si dovrà disputare da qui a breve e che vedrà impegnati, come protagonisti, gli stessi club che hanno disputato il massimo torneo nazionale: quello riguardante la spartizione dei diritti televisivi. Già, perché da questa stagione sportiva entreranno in vigore, ripartizione degli introiti derivanti dalla cessione dei diritti TV, i particolari criteri dettati dal Decreto Legislativo n. 9/2008 (la c.d. riforma “Melandri-Gentiloni”) che ha segnato, soprattutto nel panorama calcistico, una autentica rivoluzione in merito alla compravendita dei diritti audiovisivi nello sport e la loro spartizione tra i diversi soggetti partecipanti all’evento stesso. Questo perché, a differenza di altre nazioni europee come Germania Spagna e Inghilterra, in Italia la voce di maggiore entrata per i club calcistici è rappresentata, anziché dal merchandising o dalle sponsorizzazioni, proprio dai diritti televisivi e, pertanto, gran parte degli investimenti di mercato sono basati su questa particolare voce di fatturato.

Quali sono, infatti, i punti fondamentali della legge e perché la sua concreta applicazione sta creando scompiglio e spaccatura tra i 5 “grandi” Club (Milan e Inter su tutte come si è visto dalla recenti dichiarazioni a dir poco minacciose dei rispettivi amministratori delegati Galliani e Paolillo) e le c.d. “piccole”? In sostanza, l’emanazione del D.Lgs. 9/2008 (nato sulla spinta del post “Calciopoli” attraverso la legge delega n. 106/2007) segna il definitivo e fondamentale passaggio dalla compravendita individuale dei diritti di trasmissione, ad un regime impostato sulla con contitolarità dei diritti stessi, in capo al soggetto organizzatore della competizione e a tutte le società partecipanti a questa, sul modello adottato dall’UEFA per la Champions League.

 

Il testo del decreto esordisce, infatti, attraverso l’espressa menzione dell’obbiettivo politico, posto a fondamento della riforma: l’articolo 1, afferma che il passaggio al nuovo sistema di commercializzazione dei diritti audiovisivi persegue il fine di “garantire l’equilibrio competitivo tra i soggetti partecipanti”. Quindi, se prima erano le singole società di calcio a contrattare direttamente con le emittenti TV la cessione dei diritti TV relativi alle gare disputate, adesso la negoziazione è gestita da un unico soggetto (Lega Calcio) il quale poi ripartirà gli introiti seguendo criteri ispirati al criterio del c.d. principio di mutualità. Obbiettivo dichiarato della riforma è infatti quello di garantire l’equilibrio competitivo dei soggetti che partecipano alla competizione sportiva e realizzare un mercato dei diritti audiovisivi dotato di trasparenza ed efficienza, evitando le abnormi differenze di guadagni ed introiti tra le big del nostro campionato e le altre piccole società, che hanno segnato il periodo di contrattazione individuale (1999-2006) così criticato sia in ambito nazionale da parte dell’organismo garante per la comunicazione (AGCOM), sia in chiave antitrust sul versante comunitario.

 

In particolare, la negoziazione accentrata è volta a realizzare l’interesse preponderante a massimizzare i ricavi derivanti dalla commercializzazione dei diritti audiovisivi, non in riferimento all’evento inteso singolarmente, di cui sono portatrici le differenti società, ma rivolto a valorizzare l’insieme degli eventi inseriti nella competizione. Quali sono, pertanto, i criteri di ripartizione dettati dalla recente riforma e che dovranno essere applicati dal termine di questa stagione sportiva? Il decreto, fornisce, una disciplina relativa alla scottante materia della ripartizione delle risorse, derivanti dalla commercializzazione dei diritti audiovisivi: è in questo determinato settore che, per quanto riguarda il calcio, si è tenuto conto delle decisioni assunte dalla Lega Calcio nell’assemblea del 30 ottobre 2007, volte alla tutela di due obbiettivi già delineati dalla legge delega, quali l’equilibrio competitivo e la mutualità generale all’interno del sistema.

 

Per quanto riguarda l’ultimo aspetto, è prevista la costituzione di un’apposita fondazione di diritto privato, la “Fondazione per la mutualità generale negli sport professionistici a squadre”, che detterà regole apposite, con l’obbiettivo di finanziare progetti di interesse extra-calcistico. Ai fini di mutualità generale, inoltre, sarà detratta dal monte ricavi, conseguito attraverso la vendita dei diritti in esame, una percentuale non inferiore al quattro per cento, destinata agli obbiettivi già individuati, quali lo sviluppo dei settori giovanili delle società professionistiche, il sostegno degli investimenti per la sicurezza degli impianti sportivi e il finanziamento di almeno due progetti all’anno per sostenere discipline sportive diverse da quelle calcistiche. E’ stabilito, inoltre, che un’altra quota annua, non inferiore al sei per cento dei ricavi, sia destinata dal soggetto organizzatore del campionato di calcio di Serie A alle società sportive militanti nelle categorie professionistiche inferiori, al fine di valorizzarne e incentivarne l’attività. Come anticipato, la Lega Calcio, in data 30 ottobre 2007, ha emanato una decisione relativa alla ripartizione delle risorse derivanti dalla commercializzazione dei diritti audiovisivi in forma centralizzata, che entrerà in vigore proprio a partire dalla stagione 2010-2011 e sui quali il dibattito tra i Club si è acceso proprio negli ultimi giorni. In sostanza, dedotte dal totale le quote da destinare a fini di mutualità, che sono state in precedenza individuate, le risorse rimanenti si suddividono secondo il seguente modello: – una quota pari al 40% sarà divisa in parti uguali tra i soggetti partecipanti al campionato di Serie A; – una porzione del 30% sarà distribuita sulla base dei risultati sportivi; – il rimanente 30% secondo il bacino di utenza delle diverse società.

 

Più nello specifico, la parte assegnata facendo riferimento ai risultati sportivi dei club è determinata, a sua volta, attraverso una calcolo percentuale: nella misura del 10%, sulla base dei “risultati storici”, conseguiti cioè da ciascuna società a partire dalla Stagione agonistica 1946/1947; per il 15%, invece, si farà riferimento ai risultati ottenuti nel corso delle ultime cinque stagioni sportive (e qui l’Inter sarà quella che ne avrà i maggiori vantaggi!), e il restante 5% dovrà essere parametrato alla classifica finale nell’ambito dell’ultima competizione disputata, ossia quella che ha sancito il 18° scudetto del Milan.

 

 

Il banco di scontro tra i Club è, però, quello sulla quota relativa al c.d. “bacino di utenza”, che è invece determinata, nella misura del 25%, sulla base del numero di sostenitori dei partecipanti alla competizione, per la cui individuazione saranno incaricate dalla stessa Lega una o più società di indagini demoscopiche, mentre, nella misura del 5%, la valutazione sarà riferita ai dati statistici, relativi alla popolazione del comune di riferimento. E’ interessante, a questo punto, notare che l’articolo 25 del decreto di attuazione dispone: «I criteri di ripartizione delle risorse fra i soggetti partecipanti alla competizione sono determinati con deliberazione adottata dall’assemblea di categoria dell’organizzatore della competizione con la maggioranza qualificata dei tre quarti degli aventi diritto al voto». Vale a dire che l’assemblea delle società di Serie A può cambiare questi criteri con 15 voti su 20, con la teorica possibilità di ridurre a minoranza i grandi club, bilanciando il peso determinato dalla quota relativa al bacino di utenza, notevolmente a favore delle squadre maggiori.

 

Ed infatti, proprio con il voto decisivo del presidente Maurizio Beretta, il Consiglio ha dato infatti attuazione alla delibera dell’assemblea per l’assegnazione a tre agenzie demoscopiche delle indagini per definire i bacini, ovvero sostenendo la tesi delle c.d. “piccole”. Ciò ha generato le reazioni delle c.d. cinque “grandi” (Milan, Inter, Juventus, Napoli e Roma) che, vedendo le loro potenziali quote ridursi, hanno minacciato, oltre ad azioni legali, addirittura l’uscita dalla Lega Calcio e la disputa dei prossimi campionati in altre leghe europee.

 

 

E’ evidente che, al di là delle possibili battaglie giudiziarie che potrebbero svolgersi da qui a breve, la possibilità di vedere Inter e Milan giocare l’anno prossima in Premier League è alquanto fantasiosa. Certo è che l’aspetto sul bacino di utenza appare essere più importante di quanto possa sembrare. Da un lato, infatti, le “grandi” rivendicano un criterio basato sulla percentuale di tifosi su tutto il territorio italiano, e dall’altro le “piccole” che vorrebbero, invece, mitigare tale metodo per vedere entrare nelle loro casse qualche migliaio di euro in più visto che, a differenza delle grandi, loro non dispongono grossi gruppi imprenditoriali (Fininvest, Exor, Saras, ecc.) capaci di ripianare le passività a bilanci. La battaglia è appena iniziata, i protagonisti sono sempre gli stessi, ma la posta in palio non sarà più lo scudetto o un posto in Champion League. Staremo a vedere, del resto le ultime estati calcistiche ci hanno sempre abituati a continui stravolgimenti e colpi di scena.