Nel film che vi proporrò si parla di golf, uno sport considerato d’élite in Italia, anche se ormai i prezzi per praticarlo sono abbordabili. Ho calpestato qualche green a piedi nudi, che goduria, ma non vi ho mai giocato, l’ho seguito per una stagione in tempi lontani in cui la star era Greg Norman con il suo cappellaccio e il telecronista era il grande (un signore vero) Mario Camicia. Poi vuoto totale se non per le ultime vicende gossipare di Tiger Woods, che rimane il più forte golfista in assoluto della storia.



La leggenda di Bagger Vance è un film del 2000 con la regia di Robert Redford e con tre star del cinema: Matt Damon (Oscar due anni prima per la sceneggiatura di Will Hunting), Will Smith, anch’egli già allora affermato ,e la bella bionda in ascesa Charlize Theron. La pellicola è tratta dal romanzo omonimo, ma non ha avuto grande successo, anzi è stata dileggiata dai critici per la fragilità della sceneggiatura. Ma non è così, anzi.



Sicuramente la bella fotografia ha colmato qualche lacuna, ma Michael Ballhaus aveva già esperienza da vendere (Fassbinder, Scorsese tra i registi con cui ha lavorato) e Redford ha tenuto una regia veramente pulita, forse troppo per i critici. Il contenuto del film pone domande a raffica e le affronta alla grande. Domande sul senso della vita chiaramente.

Eccoci alla trama. Siamo verso la fine della depressione americana, Rannulph Junuh (Damon), tornato decorato dalla guerra in Europa, è da dieci anni che vivacchia ritirato nella sua casa bevendo whisky, senza lavorare e lasciandosi andare. Era il miglior giocatore di golf nel sud degli Stati Uniti, ma non tocca mazza da prima della guerra. Ha lasciato la sua fidanzata di allora, Adele (Theron), senza un motivo valido e vive in uno stato di depressione totale.



La bella bionda organizza un’esibizione golfistica con i due più forti giocatori americani e invita Rannulph. Che chiaramente non raccoglie. Ma una sera con un soffio di vento si presenta Bagger Vance (Smith) che si propone come caddy.

Il nostro parteciperà al torneo, partirà svantaggiato sbagliando colpi iniziali, a metà si ringalluzzirà per poi afflosciarsi, ma alla fine arriverà ex aequo con gli altri due giocatori. Avrà ritrovato la voglia di vivere, di giocare a golf e l’amore per Adele.

Un’americanata? Un po’ lo è, ma il centro di tutto è il percorso umano del protagonista, un uomo provato dal dolore, che non è riuscito a superare il trauma della morte del suo plotone in guerra e si è lasciato andare, non gli basta neppure l’amore di Adele. Quanti nella nostra era attuale vivono o hanno vissuto una difficoltà tale? Molti, soprattutto i giovani odierni. Manca il senso della vita, parola grossa il senso.

Bagger Vance dice a Damon:

Lei ha perduto lo swing, bisogna ritrovarlo

ma è chiaramente riferito alla sua vita. Green e golf come metafora dell’esistenza: si ha una vita davanti con delle tappe, il prato e le buche, a cui si arriva spesso con difficoltà, a volte facilmente, ma rarissime volte con un colpo solo. Si deve lavorare e faticare, ogni tanto si va nella sabbia o nello stagno perché una folata di vento ha spostato la traiettoria della pallina e non è dipeso dal golfista.

E si è soli, soli con sé stessi come sul green, continua il caddy.

E a metà gara, in un momento di défaillance dopo uno di euforia gli sussurra:

– Deve cercare il posto in cui tutto diventa uno con il tuo cuore.

Sono spunti questi, non sono uno psicologo (brutto lavoro ma qualcuno deve pur farlo), che il film mi ha lasciato come traccia. Ma non è solo lo sforzo personale di Rannulph, anzi, ma qualcosa che arriva all’improvviso di imprevisto, Bagger Vance, che lo accompagna e lo guida, consigliandolo, ma lasciandolo libero di sbagliare, ma sempre con lui.

Mentre alla fine della gara Bagger Vance saluta il giudice, Rannulph s’incupisce capendo che andrà via e il caddy gli dice:

– È tempo di uscire dalle ombre, non sei solo e ci sono sempre stato io.

Da soli non si va avanti, spesso i nostri sforzi sono caduchi, solo un imprevisto umano in carne e ossa ci può aiutare.

Il film inizia e termina con un cameo di Jack Lemmon (ultima apparizione), che è il narratore della storia. È sul campo da golf e ha un infarto e da lì parte a raccontare di Bagger Vance e Rannulph Junuh. Ricompare alla fine del film rialzandosi e dicendo:

Il golf è un gioco che non può essere vinto, ma solo giocato. Così io gioco e continuo a giocare. Gioco per i momenti che devono ancora venire, cercando il mio posto in campo.

E mentre dice questo siamo al tramonto con Bagger Vance che lo saluta e Lemmon va verso di lui.

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