È un po’ come aprire un vecchio armadio. Guardare La Mala, banditi a Milano, la bella docu-serie prodotta da Sky e realizzata dagli autori Paolo Bernardelli, Salvatore Garzillo e Chiara Battistini sul dominio incontrastato di alcune famose bande criminali a Milano tra il 1970 e il 1984, è un po’ come scavare tra cose vecchie e dimenticate e riaccendere – almeno per alcuni di noi non più giovani – ricordi sbiaditi.



Quel decennio per la nostra storia nazionale sarà sempre ricordato come un periodo buio, pericoloso, violento. Erano gli anni del terrorismo, degli attentati di matrice fascista, delle dure manifestazioni di piazza, delle lotte sindacali e studentesche e di uno scontro politico aspro. Ma furono anche gli anni dei sequestri di persona – oltre 300 solo in Lombardia nel giro di appena due anni – e delle rapine in banca. Questo accadeva accanto all’esplosione della dolce vita, al boom dei locali notturni, dove i ricchi si divertivano con il gioco d’azzardo e l’alcol a fiumi, e dove fece la sua comparsa anche la droga. Cosa avevano in comune le due cose? Sembra essere questa la domanda che ha guidato gli autori de La Mala e il loro lavoro di ricerca ha dato risposte convincenti.



I protagonisti di questa serie tv sono i personaggi reali, almeno quelli rimasti ancora in vita. Da un lato i banditi, a ricordare le loro gesta e a cercare ancora, dopo decine di anni passati in galera, le ragioni di fondo di quelle loro azioni. Dall’altra parte le forze dell’ordine guidate allora da un giovanissimo Achille Serra e la magistratura milanese (Nobili, Davigo, Turone), giudici alle prime armi e che diventeranno famosi solo nel decennio successivo grazie soprattutto a “Mani pulite”. Il racconto – cinque episodi – scorre veloce, è avvincente, ricco di cose risapute mischiate a tanti fatti nuovi, veri e propri scoop o notizie volutamente dimenticate.



Il racconto ruota intorno alla figura del “bel René”, il soprannome con cui divenne famoso Renato Vallanzasca. La sua fama derivò soprattutto dalle sue ripetute evasioni dalle carceri italiane e dal suo irresistibile fascino esercitato sulle donne che incontrava. Ma altrettanto importanti sono le figure di Angelo Epaminonda, soprannominato il “tebano”, il bandito milanese con solidi legami con le grandi organizzazioni criminali del sud, in particolare con la mafia siciliana, e Francis Turatello, detto “faccia d’angelo”, boss legato ad ambienti di destra e ammazzato in un carcere in Sardegna, qualche anno dopo, in circostanze rimaste misteriose.

Anche se le tre bande alla fine si combatterono in maniera violenta fino alla loro totale autodistruzione, esse furono insieme responsabili di quel “salto di qualità” che trasformò in poco tempo i piccolo delinquenti di quartiere – la cosiddetta Ligéra – in una criminalità organizzata su larga scala. Tutto ebbe origine dal diffondersi dei sequestri di persona, un modo facile e sicuro per fare soldi. La ricchezza accumulata durante il boom economico aveva creato a Milano un fertile terreno di ricche famiglie da colpire. Come abbiamo ricordato, oltre 300 in pochi anni. Colpisce sapere che in alcuni casi fu chiesto ai banditi di organizzare falsi sequestri per eludere quelli reali, considerati inevitabile e più pericolosi.

Poi la svolta. L’incontro tra la malavita e i ricchi milanesi, che trasformò il vecchio conflitto in un’alleanza, si consumò nei locali della vita notturna della città. In quegli anni il sorgere come funghi di decine di nightclub, con annesse bische clandestine, contribuì a consolidare questa relazione. Con l’esplosione del mercato della droga arrivarono a Milano anche le grandi organizzazioni criminali. E di conseguenza i banditi locali dovettero decidere se affiliarsi o rimane indipendenti. Vallanzasca era l’anima ribelle della criminalità milanese, quella che interpretava la volontà di non sottomettersi ai boss venuti da fuori.

Un protagonista di quegli anni fu sicuramente Lello Liguori. Raggiunto in una casa di riposo a Corvetto, l’intervista al vecchio manager da sola merita la visione del programma. Liguori è stato il proprietario di numerosi locali notturni e amico contemporaneamente di Beppe Grillo, di personaggi politici del calibro di Bettino Craxi e dei capi della criminalità milanese e non solo. Coinvolto in operazioni sospette come l’acquisto dei casinò di Campione e di Sanremo, Liguori sembra che non attendesse altro che la visita della troupe Sky per “vuotare il sacco”. E gli autori hanno confessato di aver utilizzato solo il 3% del materiale raccolto.

Dal racconto che Serra e gli altri magistrati fanno di quegli anni risulta abbastanza chiaramente che il fronte dalla criminalità comune era da loro considerato una complicazione, rispetto al fronte principale rappresentato dallo scontro politico-terroristico. Eppure in più occasioni lo smacco subito dalle forze dell’ordine, in particolare di fronte alla risonanza mediatica delle evasioni spettacolari di Vallanzasca, li obbligò ai lavori straordinari e a risolvere una volta per tutte la faccenda.

Le donne che hanno contribuito alla fama di dongiovanni di Vallanzasca son tante e nel filmato si ricordano (e si intervistano) Emanuela Trapani, la figlia diciassettenne dell’imprenditore che voleva comprare l’Inter, che si innamorò follemente del bandito durante il rapimento, Marinella Rossi, la giornalista di cronaca nera del Giorno, a cui il bel René fece addirittura visita a casa in piena latitanza, e Antonella D’Agostino, l’ex moglie di Vallanzasca, sposato quando era già in carcere.

In effetti, bisogna ammettere che  tra tante storie fantasy guardare il racconto “reale” di quegli anni è di gran lunga più affascinante. Ad esempio, non c’è bisogno di ricostruire scenografie d’epoca perché i ritagli di foto, i video raccolti dai telegiornali Rai e dagli archivi della polizia sono più che sufficienti a ricordare come eravamo, come ci vestivamo, come erano le nostre auto (a cominciare dalla “Giulietta” in dotazione alla polizia), in fin dei conti com’era l’Italia del boom economico e come la ricchezza prodotta in quegli anni  – anche allora soprattutto a Milano – era l’oggetto del contendere. Era proprio quell’enorme ricchezza che alimentava lo scontro sociale, ma accendeva inevitabilmente anche gli appetiti della malavita.

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