La questione dei denari, dove prenderli e come spenderli, è il momento della verità per ogni governo. Allocati decine di miliardi per abbassare le bollette, quel poco che è rimasto (10 mld) ha finanziato in larga parte l’ampliamento del numero dei beneficiari della flat-tax e aperto qualche piccolo spiraglio per i pensionati molto anziani e per qualche donna che potrà andare in pensione prima. Poca roba.
Del resto il vero obiettivo non era redistribuire ricchezza o dare una linea chiara alla gestione della cosa pubblica ma portare a casa provvedimenti bandiera da offrire all’elettorato più fedele della Meloni. Rottamazione delle cartelle, condoni più o meno mascherati, un generale allentamento dei cordoni sulle partite Iva e le piccole attività economiche sono segnali chiari rivolti ad un elettorato specifico.
Il che è anche comprensibile. Tra Covid e guerra i percettori di reddito autonomo sono stati compressi dalla crisi molto più che i dipendenti, i quali hanno ricevuto regolarmente stipendi e contributi anche per lunghi periodi senza che vi fosse alcun legame con il lavoro svolto o la produttività. In pratica gli stipendi sono stati pagati nonostante tutto, così come pensioni e reddito di cittadinanza hanno sostenuto milioni di italiani senza che si saltasse un pagamento. Gli autonomi e le imprese invece hanno sentito e sentono ancora riflessi della crisi ed un’attenzione era necessaria per ridare fiato e sostenere un pezzo di società.
Nelle ultime settimane è apparso chiaro che questo modo di governare può essere molto più efficace, sul piano del consenso, di quanto si pensasse. Governare solo per conto di chi si ritiene di rappresentare è più gratificante e semplice perché elimina ogni dubbio sulle scelte. Evita, anche in seno al Governo, ogni dialettica e le opposizioni, ridotte a giocare lo stesso gioco, provano ad intestarsi solo le battaglie che ritengono utili alla loro parte.
In questo contesto lo sfarinamento della sinistra è un processo drammatico sul piano storico, comunque la si pensi, e sta aprendo una voragine sociale.
Il quadro appare allora chiaro. Da un lato il Governo, ed i centristi di opposizione, che propongono una visione aperta solo a chi è “produttivo”, dall’altro un pezzo delle opposizioni con Conte si intesta la battaglia vetero-socialista del reddito di cittadinanza, ed infine i sindacati storici ed il Pd che spingono per aumentare i salari. Ognuno con la sua parte alla ricerca del suo consenso.
Purtroppo queste dinamiche non hanno alcuna utilità reale per il Paese. Nessuna di queste posizioni, infatti, riesce a rilanciare una visione ampia della società che sia in grado di coagulare, attorno a delle idee chiare, pezzi diversi della società che non siano legati solo dallo scaglione dell’aliquota Irpef. E mettere in competizione prima ed in conflitto poi una comunità sulla base del saldo dei conti correnti è esattamente quello che sta generando la crisi identitaria delle democrazie occidentali. Non più il luogo in cui l’individuo può crescere e costruire il proprio futuro liberamente, contando su diritti precisi, ma una cornice sottile e vuota in cui va in scena un conflitto tra chi ha e chi ritiene di avere poco.
Si comprende che questa perdita di identità della democrazia sta trasformando profondamente la società. Persa la Costituzione come riferimento, ormai ridotta a simulacro e non più a legge viva e fondante, a cui si nega un valore programmatico e valoriale, essa stessa si riduce a “norma tecnica” per ottenere ciò che si vuole. Ne è prova che nessuno dei meravigliosi principi su ciò che un cittadino ed un individuo dovrebbero essere, riesce a vincere sulle norme tecniche del regionalismo differenziato, norme che, lette da sole, possono spaccare il Paese e vanificare il resto dei 138 articoli di cui è composta.
Eppure a nessuno più interessa governare per premiare con l’istruzione i capaci e meritevoli, per promuovere l’uguaglianza di cittadini e territori, per avere un’economia che agevoli lo sviluppo della società e non l’arricchimento dei singoli. A chi governa, e a chi fa opposizione, interessa solo portare più denari ai propri (presunti) rappresentati, dare più occasioni rispetto agli altri, offrire più vantaggi ai propri che agli altri.
Ed è per questo che la questione dei denari, dove trovarli e a chi darli, è divenuta immensamente più importante della tutela della famiglie, dell’efficienza dello Stato nell’erogare servizi migliori ovunque per tutti, della tutela dell’individuo e delle sue aspirazioni (qualunque siano), della possibilità che ciascuno diventi con la sua crescita, nei luoghi in cui è nato o dove desidera vivere, un elemento fondante della società. Sembrano progetti troppo ambizioni e a lungo termine in un periodo storico in cui conta per tanti solo quello che si ha.
In questa guerra di posizioni restano fuori quelli che poco hanno, poco possono e che sono fuori dal perimetro del voto. Quelli a cui guardavano i costituenti, gente che ai denari pensava come strumento per fare cose importanti. Non come fine ultimo dei loro sacrifici e delle loro lotte. Erano altri tempi, ma chissà, spinti dai venti della storia, che non tornino. Sarebbe utile, per chi vede nella politica altri scopi che non fare i saldi di bilancio a vantaggio di alcuni, essere pronti a cogliere l’occasione e tornare già da ora a guardare alla Costituzione ed ai sui principi.
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