La svolta è di quelle che in geopolitica contano: la Marina militare italiana ha intenzione di adottare i missili cruise, moltiplicando così il raggio d’azione dei propri sistemi di attacco. Nessuno immagini il Belpaese in procinto di dichiarare guerra ad alcuno, ma la capacità di colpire un bersaglio situato ad oltre mille km di distanza è deterrente non da poco. In nuce significherebbe portare a contare almeno fino a 100 eventuali antagonisti tentati dal procurare danno all’interesse nazionale italiano. Si legga più chiaramente alla voce “Libia“. Attualmente, infatti, i missili Otomat di cui dispone l’Italia hanno una gittata massima di 200 km, senza contare che sono in dotazione unicamente alle unità di superficie. Discorso diverso per i cruise, che nei piani della Marina verranno imbarcati prima sui sottomarini, poi sulle fregate Fremm. Trattasi di tecnologia di alto livello: a riprova di ciò, il fatto che proprio i cruise costituiranno l’armamento principale dei sottomarini a propulsione nucleare dei quali si doterà presto l’Australia per effetto di Aukus, il partenariato strategico pensato dagli USA – a discapito della Francia – per controllare la Cina nell’Indo-Pacifico.
MISSILI CRUISE PER L’ITALIA: UNA SVOLTA GEOPOLITICA
Bisogna precisare che la svolta italiana non è ancora “ufficiale“. Di fatto manca ancora il finanziamento per varare il “requisito operativo” della Marina, ma lo Stato Maggiore della Difesa lo ha già recepito, e l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone ne ha già parlato in un’intervista rilasciata al mensile specializzato Rid. Il capo di Stato Maggiore della Marina Militare ha spiegato la necessità di migliorare gli strumenti di “naval diplomacy” in possesso dell’Italia, collocata dalla geografia in una delle aree più incandescenti del Pianeta: il Mediterraneo. Proprio in queste acque si concentrano gli interessi dell’Italia, costretta a fare i conti con potenze che non stanno a guardare. La Russia, ad esempio, che dalla Libia ha fatto capire di non volere andar via, dispone di “fortezze elettroniche“, vere e proprie “bolle” schermate da radar e batterie missilistiche anti-aeree e anti-nave, che i cruise sono invece in grado di penetrare. Una tecnlogia simile è stata allestita da Mosca attorno alla base siriana di Tartus. Risultato: tutti gli altri attori hanno dovuto modificare le proprie abitudini nel Mediterraneo Orientale in un raggio di 3-400 km da questi “castelli hi-tech“. La sensazione è che qualcosa di molto simile possa accadere in breve tempo nel nostro ormai ex “cortile di casa“, con la Russia padrona della situazione in Cirenaica e la Turchia di Erdogan a fare la voce grossa in Tripolitania. Di nuovo: non si tratta di cercare guerra, quanto di difendere i propri interessi. Libia vuol dire Eni: e dunque approvigionamento di petrolio, gas, idrocarburi per l’Italia.
MISSILI CRUISE PER L’ITALIA: L’ARMA E L’IMPATTO
Resta ancora da chiarire quale modello di cruise verrà adottato. L’ipotesi più plausibile, secondo Repubblica, è l’ultima versione del Tomahawk statunitense, dal nome dell’ascia dei nativi americani. Si tratta di un’arma che ha segnato gli ultimi quattro decenni di storia mondiale. Concepita in piena Guerra Fredda con l’intento di sfuggire ai radar sovietici ed essere potenzialmente in grado di colpire l’URSS con una testata nucleare, l’arma fu oggetto di aspre critiche da parte dei pacifisti, mobilitatisi in massa per protestare contro lo schieramento in Europa di tali ordigni sotto l’alveo della NATO. Epicentro di quelle proteste contro gli “euromissili” fu in Italia l’aeroporto siciliano di Comiso. Archiviata la Guerra Fredda, il Tomahawk è stata l’arma regina degli USA nelle ultime operazioni militari: dall’Iraq all’Afghanistan. La quinta versione attualmente in lavorazione dovrebbe avere una gittata di quasi 1600 km: un siluro volante, dotato di capacità evasive a ridosso dell’impatto per evitare la contraerea, con un margine d’errore sull’obiettivo da colpire di 10 centimetri, sebbene i più scettici parlino di 3 metri. Tanta tecnologia ha un costo: un milione di euro per ogni esemplare. Gli Stati Uniti per ora li hanno venduti soltanto a Gran Bretagna ed Australia: l’Anglosfera ha ancora il suo perché. Ma allo stesso tempo avanza per l’America la consapevolezza dell’importanza di affidare ad un alleato come l’Italia la salvaguardia dei propri interessi geopolitici in un’area non così vitale in questa fase: il Mediterraneo allargato, appunto. Con Washington impegnata a giocarsi il titolo di superpotenza con la Cina nell’Indo-Pacifico, fornire all’Italia i mezzi per limitare Russia e Turchia potrebbe convenire anche agli States. Roma lo sa: la storia è tornata, o forse non è mai andata via.