“La guerra in Ucraina è una tragedia, bisogna pensare come mettervi fine”. Parola di Vladimir Putin. Il leader del Cremlino dal pulpito del G20 lancia un messaggio all’Occidente e a Volodymyr Zelensky dicendosi pronto a sedersi a un tavolo per mettere fine a un conflitto che, comunque, anche se lo vede sostanzialmente vittorioso, rappresenta un pesante fardello da portare. Visto l’ormai dichiarata intenzione da parte occidentale di incamminarsi sulla strada della trattativa, il presidente russo prende la palla al balzo e asseconda questa volontà, consapevole del fatto, spiega Marco Bertolini, generale, già comandante del Coi e della Brigata Folgore in numerosi teatri operativi, tra i quali Somalia, Afghanistan, Libano e Kosovo, di essere in una posizione di forza, controllando in pratica tutti i territori sui quali aveva messo gli occhi. Chiudendo la partita in Ucraina, Putin potrebbe essere pronto anche a intervenire in Medio Oriente nel caso in cui il conflitto israelo-palestinese dovesse allargarsi.



Generale, i russi avevano già dato altre volte la loro disponibilità a trattare. Perché Putin è uscito al G20 con questa dichiarazione perentoria?

Credo che sia una risposta alle pressioni occidentali nei confronti dell’Ucraina. Che l’Occidente voglia spingere Zelensky a un accordo è una realtà riconosciuta. Ne parlano in tanti. Putin si rende conto che adesso una trattativa che lo vedrebbe in condizioni di vantaggio, perché oltre al Donbass avrebbe l’oblast di Zaporizhzhia e una parte di quello di Kherson, è possibile.



La Russia, d’altra parte, non aveva interesse a chiudere la guerra con un accordo anche all’inizio del conflitto?

A Minsk e ad Ankara era stati raggiunti dei risultati e in seguito a quelli c’era stata una ritirata russa dal Nord di Kiev. Mosca aveva cercato di aprire subito una trattativa, non era nei suoi progetti un conflitto come quello che si è sviluppato: sono stati gli Usa e la Gran Bretagna a opporsi. Boris Johnson era andato a Kiev a dire a Zelensky che “era il momento della gloria” e che bisognava vincere. Allora si trattava di riconoscere alla Russia la Crimea e il Donbass, adesso anche Zaporizhzhia e Kherson. Mosca aveva interesse allora a trattare e lo ha anche adesso: ha visto che si è aperta una crepa nel fronte occidentale e si è fatta avanti. Quello di Putin più che a Zelensky è un messaggio all’Occidente.



Il fatto che dica che questa guerra è una tragedia non è quasi un’ammissione di colpa? In fondo l’iniziativa di invadere l’Ucraina non l’ha presa lui?

Che sia una tragedia non c’è ombra di dubbio. Credo, però, che Putin abbia tenuto conto anche dei suoi interessi in Medio Oriente: se ci dovesse essere un allargamento del conflitto nell’area, coinvolgerebbe la Russia e i suoi alleati, essenzialmente la Siria. Di fronte a una situazione che si sta complicando anche lì, che i russi confermino l’intenzione di trattare con l’Ucraina è assolutamente prevedibile.

A un eventuale tavolo di pace Ucraina e Russia probabilmente si presenteranno dicendo che non vogliono cedere niente. Mosca in seguito potrebbe fare qualche concessione?

Non credo che i russi cederanno i territori conquistati, non potrebbero giustificarlo davanti alla loro opinione pubblica, dopo dei referendum che hanno visto la parte filorussa votare per annettersi a Mosca. Anche perché attualmente, per quanto riguarda le operazioni militari, i russi stanno tenendo dal punto di vista tattico. A Putin già dall’inizio interessava la Crimea per essere presente nel Mar Nero e l’autonomia delle due repubbliche del Donbass, anche per questioni di carattere economico, perché ci sono importanti giacimenti. Quello che voleva lo ha ottenuto, ha anche un collegamento terrestre diretto con la Crimea e la riva sinistra del Dniepr. Per questo si può permettere il lusso di chiedere una trattativa facendo la figura di quello che concede all’avversario una via d’uscita.

(Paolo Rossetti)

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