“La storia ci consegna sempre una lezione, lascia tracce nella memoria e nella coscienza”. Lo dice in questa intervista il professor Alessandro Meluzzi, medico psichiatra e autorevole voce in ambito televisivo per quanto riguarda i fenomeni sociali, parlando a proposito del “dopo emergenza coronavirus” che tutti speriamo giunga presto: “Resterà nella memoria collettiva un recupero del valore dei rapporti interpersonali, della centralità della famiglia, dell’importanza delle relazioni e anche della vicinanza di una bottega sotto casa; si rivaluteranno il ruolo della lettura e della musica, la preghiera. Potrà essere una lezione salutare, ma non dobbiamo pensare che sarà una passeggiata in carrozza: sarà lunga e durissima”.



L’Italia è diventata una grande zona protetta: come gestire questo periodo di isolamento?

Purtroppo è una situazione molto complessa, perché stiamo attraversando un periodo difficile che può essere visto da tre punti di vista.

Ci dica.

Il primo è quello della Cina, che ha imposto misure anche più severe in modo militare, blindando il territorio e imponendo regole durissime. Un’impostazione che classificherei come dirigista. Il secondo è invece quello di Boris Johnson: accettare mezzo milione di morti aspettando che si sviluppi l’immunità di gregge. Un’ipotesi che definirei liberal-darwiniana.



E il terzo punto di vista?

E’ quello dell’Italia. Noi come sempre stiamo nel mezzo. Questo punto di vista, da un lato, chiede empatia, attenzione e assunzione di responsabilità individuali; dall’altro, chiede di osservare delle regole precise, accettando comunque un certo margine di libertà. Credo che dobbiamo assestarci qui. Credo si debba mettere insieme una miscela di tolleranza, di ragionevolezza e al tempo stesso di auto-disciplina. Per fortuna in Italia non abbiamo i carri armati dietro l’angolo né siamo pronti ad accettare mezzo milione di morti.

Come ci si può aiutare a vicenda?



Ciascuno farà ricorso alle sue risorse, alle sue relazioni, ai social media, al telefono. Certamente è un periodo durissimo. Ciò che farà più danni – è importante ricordarlo – sarà la crisi economica, perché ci ritroveremo in questa situazione almeno fino all’estate e i danni colpiranno con effetti di lunga durata.

Secondo lei, quando questa emergenza finirà, la gente si comporterà come prima? Torneranno l’individualismo, il carrierismo, gli happy hour di massa o avremo imparato una convivenza diversa?

Credo che dopo questa vicenda nulla sarà come prima, anche perché la storia lascia sempre delle tracce nella memoria, nelle coscienze, nei pensieri. Certamente è una lezione che ci educa ad alcune cose.

Quali?

Il valore dei rapporti interpersonali, la centralità della famiglia, l’importanza delle relazioni, la riscoperta delle botteghe sotto casa e saremo meno schiavi dei supermercati. Riscopriremo il ruolo della lettura, la bellezza della musica, la meditazione, la preghiera. Alla fine potrà essere una lezione salutare, ma non dobbiamo pensare che sarà una passeggiata in carrozza: sarà lunga e durissima, Siamo all’inizio, aspettiamo di vedere quando saremo al terzo mese…

Tra le persone che più fanno fatica ci sono le madri che devono lavorare in smart working. Che consigli si sente di dare per evitare che vadano in burnout?

Nella mia vita ho lavorato a lungo nel Terzo mondo, dove le madri lavorano i campi portando il bambino sulla schiena come in Sudamerica o sulla pancia come in Africa. Credo che rispetto alla condizione di dover piantare dei semi per terre avendo dei sacchi sulle spalle, quella delle nostre madri sia migliore. Ciascuna, poi, farà quello che potrà, ma è anche vero che veniamo da una situazione in cui tutto sembrava facile. Oggi tutto ci sembra più difficile, ma la realtà è questa.

Che idea si è fatto dei flashmob, una moda che sta prendendo piede?

Mi sembrano una cosa bellissima, sono un modo per sentirsi meno soli, per riaffermare dei valori. Mi piace si sia cantato l’inno nazionale, un modo per riaffermare la nostra identità e dignità. E’ una qualità che in psicologia si chiama resilienza. Ci aspettiamo, dunque, una forte resilienza, che sarà messa alla prova per una durata molto più lunghe di una settimana. Ma ci abitueremo.

(Paolo Vites)

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