Nulla risulta più frustrante che spendere risorse ed energie nel tentativo di sostenere una collettività gravemente minacciata da un evento biologico devastante, e vedere sistematicamente vanificato il proprio sforzo dalla incomprensione dei destinatari e dalla incapacità dei pubblici amministratori di assumersi delle responsabilità proporzionate alla gravità della minaccia incombente.



Anche le persone del tutto profane di una materia tanto criptica per i non addetti ai lavori, come è la epidemiologia, nel corso di un lunghissimo anno avrebbero avuto  la possibilità di comprendere un assioma: l’unica difesa contro questo aggressivo contagio, in assenza di immunità di massa, è il mantenimento di mezzi che lo impediscano, dei quali di gran lunga il più efficace è il distanziamento e poi  la protezione delle vie aeree con dispositivi efficaci  che possano prevenire il contatto con il virus. L’Italia ha ottenuto in modo brillante questo risultato nel corso della prima ondata, durante la primavera del 2020, raggiungendo l’obiettivo in modo assai più convincente di quanto abbiano fatto molti altri paesi europei. Si è colto che ciò era stata la conseguenza di comportamenti allineati con quanto indicato dal mondo della scienza e adottato con convinzione dagli amministratori.



Purtroppo tali comportamenti erano basati solo sulla fiducia, non sulla comprensione dei meccanismi,  tra l’altro messi in discussione dai contestatori in servizio permanente effettivo, i quali sembrano volersi opporre sistematicamente al   valore delle regole della scienza. Questo limite ha acceso il più che comprensibile stato di insofferenza della popolazione per le norme stringenti che producevano pesanti impatti sulla elevata qualità di vita abituale, ma soprattutto su gran parte delle attività lavorative e di conseguenza sul reddito di tante persone.  Ciò ha condotto per reazione alla comparsa di frequenti comportamenti di mancato rispetto delle regole e pesanti pressioni sui responsabili della amministrazione per ottenere l’alleggerimento delle limitazioni, di qualsiasi natura esse fossero.



Ancora una volta si è sperimentata la natura opportunistica della epidemia quando la concessione di qualche “evasione” dalle limitazioni, avvenuta nel corso delle ferie invernali, ha generato un pesantissimo acuirsi della seconda ondata, prodottasi in modo assolutamente identico a quello seguito all’irragionevole disimpegno nato durante le ferie estive. I numeri di contagi, di ricoveri e di decessi osservati – come sempre avviene – a distanza di 1-2 settimane riconducibili all’incubazione, hanno riacceso forti preoccupazioni cui è seguita una nuova restrizione e la ripresa del controllo del contagio.

Purtroppo, la gente non riesce ad assimilare la ineluttabilità di questo meccanismo e da subito ha ripreso ad esercitare pesanti pressioni sugli organi di governo per un nuovo allentamento, così riavviando inesorabilmente l’ormai noto meccanismo con il quale si produrrà una nuova ondata che priverà della vita migliaia di persone e che – questo ormai si dovrebbe sapere in anticipo – costringerà  a nuove serie limitazioni, le quali comunque non potranno evitare che i contagi già avvenuti completino il loro percorso che si svolgerà nel giro di 3-4 settimane.

Ciò che sta avvenendo, con qualche corresponsabilità dei pubblici amministratori, troppo attenti al consenso loro riconosciuto, si fonda su due motivi: la mancata capacità di rendersi conto della vera natura di questo straordinario evento e la viscerale tendenza a sottovalutarne la aggressività. Sul Corriere della Sera il professore Sergio Harari, pneumologo alla Statale di Milano, ha delineato con molta chiarezza la natura di questa pandemia e dei motivi per i quali il virus responsabile è destinato a farci compagnia per gli anni a venire, così come la storia della biologia ha insegnato in casi innumerevoli, come ad esempio nel caso della influenza.

Molte attenzioni privilegiate alla possibile radicalità dell’impatto della immunità di massa che auspicabilmente sarà raggiunta con l’uso dei vaccini (e grazie a Dio il mondo della ricerca scientifica e l’impegno dell’industria farmaceutica hanno consentito di averne a disposizione un numero consistente, tutti efficaci) non autorizzano nessuno ad aspettarsi una cessazione di questa sorta di terzo conflitto mondiale e di un pronto ritorno alla liberalizzazione degli assembramenti, degli eventi di massa, dei contatti in totale libertà. Così come l’uso di dispositivi di protezione sarà prezioso anche in futuro per la prevenzione di contagi in situazioni di rischio che ben conosciamo e alle quali non possiamo permetterci di tornare liberamente.

È assai verosimile che il miglior risultato per questo virus sarà quello di riuscire a ottenerne  una attenuazione degli indici di aggressività e di letalità, con l’obiettivo stabilizzato di trasformarlo in un ospite stagionale, come si è riusciti ad ottenere con l’influenza. È assai probabile che una vaccinazione preventiva contro le manifestazioni stagionali si renderà necessaria, proprio come accade per l’influenza. Ma non si possono escludere a priori occasionali recrudescenze epidemiche, ancora una volta come avvenuto per i virus influenzali, che hanno prodotto nuovi eventi epidemici di rilievo nel 1957-59 (la asiatica), nel 1968 (Hong Kong), nel  1977 (Russia) e altre.

L’importanza del distanziamento sociale nel corso di epidemia è stato clamorosamente dimostrato dalla sostanziale scomparsa di una influenza stagionale nel 2020-2021, pur in assenza di campagna vaccinale, dovuto alla situazione di cosiddetto lockdown imposto, sia pure in modo discontinuo e non omogeneo in difesa dal coronavirus circolante.

Due ulteriori considerazioni meritano di essere fatte. Questi interventi di salute pubblica nella cultura europea e nordamericana, come è noto e come sopra accennato, si scontrano con una scarsa recettività di regole non sufficientemente comprese nella loro motivazione e, probabilmente, con un malinteso senso di autonomia decisionale che induce a non rispettarle. Credo non si possa mettere in dubbio che la difesa della salute pubblica è un bene primario dello Stato e può giustificare in situazioni minacciose anche il ricorso a imposizioni, ricorrendo anche a chiari interventi sanzionatori, quando necessario,  nei confronti di chi si senta autorizzato a non rispettare le regole della collettività.

Questo aspetto è indiscutibilmente il primo e necessario presidio. Esso è componente necessaria insieme con l’intervento vaccinale, nel quale è stata riposta molta aspettativa, certamente giustificata ma sicuramente anche troppo fiduciosa, che deve essere affrontata con il massimo sforzo organizzativo e di dedizione perché solo un’azione combinata di immunizzazione contro un virus la cui circolazione è controllata potrà prevedibilmente raggiungere il risultato di rallentare la moltiplicazione del virus, che è il presupposto per il presentarsi di mutazioni.

Non va dimenticata questa seria lezione presentata dalla natura a una umanità assai poco sensibile ai delicati equilibri della medesima. Se il primo atteggiamento di responsabilità va riconosciuto in un attento rispetto del mondo animale e dell’ambiente, serbatoio di miliardi di organismi che hanno trovato un proprio equilibrio di sopravvivenza in quiescenza, il secondo non meno importante è quello di non avere raggiunto risultati in ambito sanitario efficaci e di sicura certezza. Il mondo si è illuso che i grandi progressi dell’ultimo mezzo secolo abbiano consentito di ritenere che l’umanità si sia conquistata una sufficiente protezione  nei confronti della varie pesti del passato e potesse liberamente metter mano a interventi di contenimento della spesa pubblica nel settore della sanità. Ciò è stato clamorosamente smentito da questa esperienza e ha piuttosto ribadito il valore insostituibile della promozione della ricerca scientifica, vera protagonista di quest’ultimo avvenimento,  e della costruzione di presidi sanitari di ogni genere non destinati alla gestione ordinaria, ma che consentano il ricorso ad essi in casi di emergenza. In fin dei conti questo era stato l’insegnamento del secolo scorso nel quale le esperienze belliche avevano consolidato la necessità di costituire in periodo di pace  dei presidi di emergenza e di mobilitazione: ora non più, auspichiamo, in difesa da un nemico umano, ma da tanti imprevedibili nemici biologici  che noi stessi non ci preoccupiamo di suscitare.

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