Compie oggi sessant’anni il personaggio dell’ispettore Clouseau, sconclusionato a pasticcione funzionario della polizia francese in forza alla Sureté di Parigi, cui l’istrionico attore inglese Peter Sellers ha dato le fattezze per ben sei film. La ricorrenza è quella dell’uscita negli Usa de La Pantera Rosa (The Pink Panther) di Blake Edwards, primo della serie dedicata al suddetto personaggio, serialità peraltro scaturita dal successo planetario di questa prima Pantera, non già presente fin dall’inizio nelle intenzioni dai suoi autori.



La Pantera Rosa del titolo è un diamante molto prezioso, di proprietà della giovane principessa Dala (Claudia Cardinale). Questa, in vacanza a Cortina, si imbatte nel playboy gentiluomo sir. Charles Lytton (David Niven), che più che alle grazie della principessa mira al diamante, essendo in realtà “la Primula”, noto ladro professionista di gioielli. In questo arriva a Cortina anche George Lytton (Robert Wagner), il nipote americano squattrinato di sir. Charles, anch’egli interessato al diamante. Entra allora in gioco Jacques Clouseau (Peter Sellers), che è da tempo sulle tracce della Primula, la cui moglie Simone (Capucine) è a sua insaputa l’amante della Primula stessa nonché sua ricettatrice. Così, in un intreccio degno della migliore commedia degli equivoci e dei “saperi non condivisi” (ogni personaggio sa qualcosa sul conto degli altri ma non tutto, mentre il pubblico sì, cosa che diventa fonte di divertimento in sé nonché il motore della narrazione), il film procede a balzi, inseguimenti e piani segreti fino alla soluzione finale, che vede Clouseau finire in carcere a Roma scambiato per la Primula e accusato del furto della Pantera Rosa, di cui è in realtà innocente, mentre sir. Charles e la moglie se la cavano allegramente… fino al successivo episodio.



Blake Edwards, regista statunitense di ampia esperienza nel cinema mainstream hollywoodiano, sperimenta con La Pantera Rosa, di cui è anche co-sceneggiatore, una fusione tra la commedia sofisticata degli equivoci e la comicità visiva e pirotecnica della commedia slapstick. Il risultato è un film di piacevolissimo intrattenimento, ben confezionato visivamente ad a tratti molto divertente, anche per merito dei due attori protagonisti, Niven e Sellers, diversissimi tra loro come perfettamente complementari nel dare forma e sostanza alle due “anime” del film (sofisticato Niven, slapstick Sellers).



Come detto, il successo indusse gli autori a numerosi seguiti. Se ne contano sette nella serie originale, tutti diretti da Edwards e cinque dei quali con Sellers nel ruolo del protagonista (l’ultimo, del 1982, con immagini di repertorio poiché postumo), e con gli ultimi due interpretati da Roger Moore, nei panni di un Clouseau redivivo, e da Roberto Benigni, stralunato figlio illegittimo di Clouseau.

La sequela annovera anche un “apocrifo” (Inspector Clouseau del 1968, di Bud Yorkin con Alan Arkin) e due cosiddetti reboot, cioè due film che riavviano la serie dopo diversi anni e con autori e protagonisti nuovi. Si tratta di La Pantera Rosa (2006) di S. Levy e di La Pantera Rosa 2 (2009) di H. Zwart, entrambi con il comico americano Steve Martin come nuovo volto del sempiterno ispettore francese.

Menzione particolare merita l’episodio del 1983 (La Pantera Rosa, il Mistero Clouseau, il secondo dopo la morte di Sellers) con il commissario interpretato da Roger Moore, nientemeno. Ruolo – piccolo, in realtà – curiosamente affidato al James Bond in carica probabilmente per sfruttare il parallelo comico/grottesco tra le diverse abilità dei due personaggi. E infatti Moore girò le poche scene in cui compare, come un Clouseau rinato con plastica facciale e passato dalla parte dei ladri, in un solo giorno a Londra mentre stava anche interpretando l’Agente 007 nella lavorazione di Octopussy – Operazione Piovra (John Glen, 1983). Il film è invero il peggiore della serie, ma la menzione vuole sottolineare come personaggi di fantasia quali Clouseau e James Bond sappiano travalicare lo specifico delle loro vicende narrative per entrare in un circuito culturale di familiarità e riconoscibilità di carattere universale e antonomastico.

Su tale medesimo terreno, la cosa più sorprendente (ma anche la meno, a pensarci bene) che il primo Pantera Rosa produsse è senz’altro la serie di cartoon omonima. Il tutto nacque dai titoli di testa del film. Commissionati a Fritz Freleng, autore di quasi tutti i cartoon di successo della Warner (padre di Gatto Silvestro e Titti, Speedy Gonzales, Bugs Bunny e Daffy Duck), questi si inventò il personaggio del flemmatico gattone rosa. Questa Pantera Rosa divenne così popolare che la United Artists, distributrice del film, permise di produrne un cartone animato, appunto The Pink Panther. Il cartoon vinse l’Academy Award nel 1965, così il suo creatore decise di produrre un’intera serie, durata fino al 1980. Si direbbe a oggi che tale personaggio animato abbia avuto più impatto nella cultura sottile popolare di quello del Clouseau stesso, vista la longevità della serie a cartoni animati (che noi, bambini di fine anni Settanta, attendevamo con ansia di vedere a colori nel programma Scacciapensieri della tv svizzera italiana) e tutto il vasto merchandising che ha generato.

Infine, ricordiamo il celeberrimo bellissimo tema musicale di taglio jazzistico di Henry Mancini, forse il migliore autore di musiche per il cinema di tutti i tempi, divenuto tale (il tema) anche grazie alla serie animata di cui s’è detto. Potenza della settima arte e delle arti mediatiche in genere.

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