La verità del mancato accordo è questa: Israele non voleva l’intesa e non si aspettava nessun tipo di “sì” da parte di Hamas, neanche a una bozza rielaborata. L’approvazione della bozza che prevede in modo dettagliato come deve avvenire lo scambio tra ostaggi in mano all’organizzazione palestinese e prigionieri nelle carceri israeliane è rimasta sospesa nel vuoto, in attesa di risolvere una questione lessicale che per le parti in causa diventa sostanziale.



Il disaccordo, infatti, spiega Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, dipende dall’interpretazione dell’espressione inserita nel titolo dell’intesa, che traslata dall’arabo si dovrebbe rendere come “calma sostenibile”: per Hamas lì dentro c’è il cessate il fuoco definitivo, per Israele no. Leggendo l’intesa si scopre che nella prima delle tre fasi previste da 42 giorni l’una si dispone la cessazione temporanea delle operazioni militari, mentre nella seconda si parla di “cessazione permanente”.



E così, in attesa di intendersi sui termini, si continua a trattare per cercare di scongiurare l’attacco a Rafah, che di fatto l’IDF ha già iniziato occupando una parte del territorio della città e bloccando il valico dal quale passano gli aiuti umanitari per la gente di Gaza. Per raggiungere il compromesso entrambe le parti devono manifestare la volontà di farlo, ma nessuno finora ha negoziato con questo spirito: ognuno ha tentato di far prevalere la sua visione. Intanto gli USA, la UE, l’ONU, Médecins sans Frontières, l’Egitto, insomma tutti tranne Tel Aviv mettono in guardia dagli effetti devastanti di un’operazione militare a Rafah, che senza un accordo diventa sempre più probabile.



Perché nonostante il sì di Hamas Israele ha preso le distanze dall’accordo su tregua e ostaggi rielaborato dagli egiziani e sul quale sembrava si trovasse un’intesa?

Si litiga su due parole. Nel titolo dell’accordo si parla di “calma sostenibile”, ma non ci si intende sul significato dell’espressione: è un cessate il fuoco definitivo oppure no? Per Hamas e i negoziatori sì. Avevano cambiato i termini utilizzati nel documento proprio per arrivare a trovare un compromesso, dilatando la durata: tre fasi da 42 giorni l’una. Fornendo poi indicazioni così dettagliate sulla liberazione di ostaggi e prigionieri che si rischia di perdersi.

Indicazioni che dicono cosa?

In relazione alla prima fase si spiega quasi giorno per giorno cosa bisogna fare, liberando le persone con il contagocce, tre ostaggi ogni sette giorni per arrivare a 33 iniziando da donne, minorenni (sotto i 19 anni, nda) e uomini oltre 50 anni. Per ogni rapito Israele dovrebbe rilasciare 30 detenuti, sempre donne e bambini, che diventano 50 se Hamas lascia libera una soldatessa. La lista dei candidati alla scarcerazione comprende anche gli arrestati a Gaza. Hamas poi presenterà delle liste per liberare i reclusi a partire da chi ha l’ergastolo scalando agli altri con pene minori. L’ANP non sarebbe stata contenta di includere Marwan Barghouti nella lista, perché potrebbe essere un rivale di Abu Mazen. Nella seconda fase si libererebbero gli uomini e nella terza si consegnerebbero le salme. L’accordo definisce le zone da cui l’esercito israeliano si deve progressivamente ritirare e il numero di camion di aiuti che devono entrare a Gaza, 600 al giorno, di cui 50 di carburante e 300 per il Nord della Striscia.

La bozza prevede, quindi, un ritiro programmato dell’IDF?

Hamas ha accettato che Israele possa rimanere per un certo periodo, al massimo fino alla fine della terza fase, lungo il confine con la Striscia, all’interno di essa, creando una sorta di cuscinetto. Ci sono indicazioni anche per la ricostruzione su un periodo di cinque anni. Il nodo da sciogliere però resta un altro: nel titolo del documento si dice “In attesa di conferma del cessate il fuoco”. Biden era d’accordo ma il gabinetto di guerra israeliano ha rifiutato il “sì” di Hamas, definendo quella dell’organizzazione palestinese una risposta tattica. Adesso il capo della CIA sta cercando di ricucire.

Perché dopo settimane di estenuanti trattative ci si è bloccati su un termine?

Ognuno vuole che sia l’altro a esporsi nel rifiuto. Hamas non poteva accettare di liberare gli ostaggi per poi vedere continuare la guerra. Non so come andrà a finire. Ci sono diverse cose, comunque, da chiarire. Gli USA, ad esempio, hanno detto: “Ok all’operazione a Rafah ma non deve essere grande”. Che significa? Per questo gli israeliani avrebbero chiesto di sgomberare la parte orientale della città, per procedere a poco a poco, per rendere l’operazione più “digeribile”? Oppure: “Sì all’azione a Rafah, ma salvaguardando i civili”: i civili sono ancora lì.

Come si può interpretare la reazione di Israele dopo il rifiuto dell’accordo approvato, invece, da Hamas? Ha bombardato Rafah entrando in una parte della città e occupando il valico da cui passano gli aiuti umanitari per Gaza: cosa significa, che ormai vogliono procedere con l’azione militare?

Sull’occupazione del valico mi stupisce la posizione egiziana: è uscita una dichiarazione del ministero degli Esteri di condanna. Hanno sempre detto che quella era una linea rossa che non si poteva oltrepassare. Il 21 aprile hanno messo in mostra una marea di carri armati egiziani per far capire che non avrebbero permesso violazioni degli accordi relativi a quella zona. Poi su un canale tv Israele ha riferito di aver occupato l’area, ma promettendo all’Egitto che l’indomani si sarebbe ritirato, quindi chiedendo solo per bombardare da quella posizione.

Gli israeliani comunque hanno occupato una parte di Rafah.

Sì, dicono di averlo fatto per fare pressione sui negoziatori di Hamas.

Ma l’accordo Israele vuole farlo o no?

Secondo me nessuno vuole farlo. Nel senso che ognuno vuole ottenere il massimo, però non è possibile, bisogna arrivare a un compromesso. Gli israeliani hanno rifiutato sostenendo che Hamas voleva solo metterli in difficoltà. Se fosse vero avrebbero potuto dire di “sì” per vedere se la controparte avrebbe mantenuto le sue promesse. Ci sono dei garanti dell’accordo, che sono USA, Qatar, Egitto e ONU, che possono fornire assicurazioni su tutti i punti: non si può sgarrare.

Alla fine, il punto del contendere è sempre quello: Hamas vuole la fine della guerra, Israele no?

Israele vorrebbe occupare Rafah per annunciare di avere finito il lavoro di distruzione di Hamas. Ma se si sta negoziando è perché non si può ottenere il 100% delle richieste avanzate. È vero anche che si parla di accordo da settimane e ora sembrava di essere arrivati sul punto di averlo. La decisione definitiva potrebbe arrivare a ore. L’accordo non è stato dichiarato morto, si tratta per rianimarlo.

Sul fronte politico rimane la questione del possibile mandato di cattura della Corte penale internazionale per Netanyahu. Gli americani stanno giocando pesante?

C’è stata una lettera di dodici senatori USA al procuratore Karim Khan: una vera e propria minaccia. Del tipo: “Target Israel and we will target you”, “Prendi di mira Israele e noi prenderemo di mira te”. Si accusano i giudici di muoversi solo contro gli alleati degli USA, dimenticando che Putin ha subito la stessa sorte.

(Paolo Rossetti)

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