«L’era delle delocalizzazioni è finita, non si investe più fuori dall’Europa solo per abbattere i costi. La relazione ormai è più complessa, ricca, produttrice di benefici per tutte le parti in causa…. Pechino ha bisogno di noi, come gli europei hanno bisogno dei nuovi mercati emergenti. I protagonisti sulla scena mondiale sono molti, pensiamo ad esempio al Brasile, che sta registrando una crescita del 7 per cento, a ritmi appunto quasi cinesi. Negli anni Settanta la Fiat ha scelto di rivolgersi all’America Latina, pensando che la forte comunità italiana avrebbe rappresentato un punto a favore. Non ci siamo sbagliati, il nostro impegno al di là dell’Atlantico è una storia di successo, ogni anno nello stabilimento di Belo Horizonte produciamo 800mila auto e il nostro marchio è parte integrante della società brasiliana. E senza la Fiat brasiliana gli ultimi anni di crisi sarebbero stati molto più difficili per noi. Credo che questo possa essere un buon modello per lo sviluppo delle relazioni economiche con Cina e India».
Così John Elkann, Presidente della Fiat, diceva a inizio settembre al seminario estivo del Medef (la Confindustria francese), dedicato alla «questione cinese». Guardando alla prospettiva di un nuovo «patto sociale» proposto da Marchionne, qualche spunto di novità nel dialogo sociale viene dal Brasile. In una realtà, quella brasiliana, in cui convivono ricchezze favolose e miserie impensabili, una grande impresa come la Fiat rappresenta un punto di convergenza per una classe media che produce e fa crescere il Paese. Quella della Fiat di Belo Horizonte, vista da dentro, è una realtà in cui è possibile incontrare ragazzi di favela e manager preparatissimi che competono a livello internazionale. Un impianto di produzione modernissimo, con investimenti altissimi in tecnologie verdi, inserito in un contesto di degrado urbano e sociale che solo qua e là inizia a dare qualche piccolo segno di miglioramento.
Contraddizioni che hanno però un terreno di incontro e di sintesi: un’impresa che mette a frutto le capacità di vario tipo delle persone e che genera ricchezza, con particolare attenzione al territorio in cui è posta. Nessun sogno idilliaco, al contrario, le tensioni e le contraddizioni fanno scintille, spesso è violenza, conflitto sociale, povertà umana. Tuttavia c’è un punto in cui si può vedere che costruire è possibile. È in questo «tentativo» che ha messo radici «l’albero della vita», un’iniziativa realizzata in collaborazione tra una ong italiana, AVSI, e la Fiat di Belo Horizonte (Betim, per la precisione), che coinvolge centinaia di ragazzi, per avvicinarli all’educazione, comunicando loro il fatto che la vita non è solo conflitto tra bande, spaccio, ma che ha un senso e che i talenti di cui una persona dispone possono essere messi a frutto, proprio come fa un’impresa.
Corsi di formazione professionale, attività ricreative e artistiche, supporto famigliare, corsi di alfabetizzazione, come momenti per aggregare persone che vivono in quartieri degradati ma desiderano costruire e hanno nella Fiat un risultato tangibile di ciò che la persona può realizzare. In particolare, la Cooparvore, che in Italia potrebbe essere paragonata a una cooperativa sociale, produce oggetti a partire dagli scarti di produzione della fabbrica: borse, portachiavi, gadget per l’auto, che poi vengono comprati dai concessionari o da altre aziende commerciali. Pur essendo il Brasile una fucina di idee e progetti di responsabilità sociale delle imprese, Arvore da Vida è sicuramente un’iniziativa unica, che si alimenta di un background culturale che pone al centro la persona e i suoi talenti come base per costruire il progresso. Lo stesso background culturale che permette oggi di costruire nei Paesi emergenti con una logica che non sia solo di produzione a basso costo ma soprattutto di «relazione produttrice di benefici per tutte le parti in causa». E per produrre, ovvero generare, occorre una relazione, una condivisione, che è già un nuovo patto sociale globale, in cui si riconosce il volto del «sistema Paese-Italia», per attori e per valori.