Mettere le mani in pasta

La Piazza dei Mestieri nasce a Torino nel 2004 ristrutturando una vecchia conceria trasformata in un luogo pensato per i giovani adolescenti (14-18 anni), perché possano incontrare dei Maestri che li introducano allo studio, al lavoro, allo sport, all’arte, all’uso del tempo libero.

Sono oltre 500 i ragazzi che ogni giorno varcano il grande cancello della Piazza dei Mestieri e che si distribuiscono lungo i 7.000 mq dell’edificio per frequentare i loro percorsi educativi che hanno una durata biennale o triennale e che li porteranno a diventare cuochi, barman, maitre, grafici, cioccolatieri, acconciatori, panettieri.

Spesso si tratta di ragazzi che hanno situazioni difficili alle spalle, dagli insuccessi scolastici ai problemi familiari. Oltre il 50% delle famiglie (ma molte altre si vergognano di dircelo) dei nostri studenti dichiara un reddito familiare che non supera gli 11.000 euro annui (sotto il livello di povertà). E non è solo una povertà economica. Tanti non conoscono la loro stessa città; quasi tutti hanno perso la speranza che la scuola sia un percorso possibile e adatto per loro.

È un fenomeno noto che emerge ormai da gran parte dei dati statistici e dalle analisi nazionali e internazionali sul nostro sistema educativo; i giovani tra 18 e 24 anni in possesso della sola licenza media inferiore e non iscritti ad alcun percorso educativo o formativo sono in Italia oltre 1.000.000, ma anche tra coloro che permangono nel sistema di istruzione le difficoltà non mancano: i tassi di assenza scolastica sono in crescita costante; resta elevato il gap, nei confronti degli altri Paesi industrializzati, in termini di competenze chiave; sono sempre più numerosi i quindicenni che dichiarano di non vedere alcuna utilità nel frequentare la scuola; tra coloro che si diplomano, il 30% lo fa con uno o più anni di ritardo; il primo inserimento lavorativo è situato in media al venticinquesimo anno di età e per oltre il 45% delle persone sino a 35 anni esso non ha alcuna attinenza col percorso scolastico svolto in precedenza.

Davanti a questa emergenza educativa, non abbiamo voluto limitarci ad aggiungere dati alle analisi, ma abbiamo deciso di mettere le mani in pasta. Dopo sei anni la nostra esperienza ci fa vedere che davanti a una proposta educativa i giovani si riaprono alla speranza, ricominciano a credere a loro stessi, al fatto che hanno un valore, e cosi in questi primi anni degli oltre 1.400 giovani che sono passati in Piazza il 95% ha finito il suo percorso formativo e quasi tutti (il 97% del settore acconciature, l’85% di quello gastronomico alberghiero e il 70% di quello grafico) ha trovato lavoro nel settore in cui aveva studiato e sono in crescita anche quelli che passano al quarto anno delle superiori per giungere al diploma.

Le dimensioni della proposta

La prima dimensione è legata alla bellezza. Noi siamo convinti che per ognuno, ma soprattutto per i giovani, la voglia di fare e di costruire nasce dall’attrattiva che genera su di loro la bellezza; per questo abbiamo cercato di creare un luogo accogliente, bello pieno di colori. Ed è per lo stesso motivo che ai nostri ragazzi proponiamo ogni settimana eventi musicali e teatrali, o li portiamo a vedere cose belle, ma anche che li accompagniamo a vedere la bellezza che nasce dall’opera delle loro mani.

 

Da questa osservazione nasce la seconda dimensione che è legata alla valorizzazione della manualità; i nostri ragazzi sono accompagnati a vedere la realtà trasformarsi sotto i loro occhi, vedere come le loro mani, come quelle dei loro maestri artigiani, diventano intelligenti e generano. Questa dimensione che si è ormai persa nelle nostre scuole tecniche e professionali è uno dei grandi patrimoni della tradizione del nostro paese che dobbiamo recuperare.

 

Una terza dimensione è quella legata al lavoro; per anni si è contrapposta l’educazione (scuola) al lavoro, come se fossero due momenti distinti e successivi; sono stati anni in cui è prevalsa una concezione che demonizzava l’impresa e l’imprenditore, sembrava che la scuola fosse umanizzante e il lavoro mero sfruttamento. Ecco noi vogliamo superare questo dualismo sciocco e ideologico. In Piazza si lavora sul serio, ogni ragazzo può frequentare i laboratori sotto la guida di maestri esperti, ma anche lavorare al ristorante aperto al pubblico, o al pub che serve la birra prodotta da noi. E alcuni prodotti sono venduti sul mercato come la birra e il cioccolato o sono utilizzati dalle aziende per la loro regalistica, cosi come sul mercato sta la nostra tipografia. Questo collegamento con il lavoro è una delle grandi novità del modello della Piazza dei Mestieri.

 

Ma la vera sfida è che il risultato di questo lavoro sia eccellente, che quello che fanno sia sempre più buono, che chi assaggia i loro prodotti provi soddisfazione. Per fare questo abbiamo scelto dei maestri che eccellevano nel loro mestiere e che hanno accettato di correre insieme con noi l’avventura di questa sfida.

 

In questo senso la Piazza, oltre a essere un ambito formativo, è anche un’impresa che si misura con i suoi clienti. Certo è un’impresa sociale che ha caratteristiche particolari, ma ha i problemi della produzione, dei clienti che non pagano, cosi come ha la necessità di remunerare chi lavora attraverso il raggiungimento di risultati positivi. Questa dimensione è preziosa perché ci permette di trasmettere a questi ragazzi l’onore del lavoro e del fare impresa, aprendoli a un compimento personale e a una responsabilità che è anche la grande speranza per affrontare ogni crisi personale, sociale ed economica.

 

Un luogo aperto al mondo

Una delle peculiarità della Piazza è quella di un’apertura al mondo. Non è pensabile costruire dispositivi per l’inclusione sociale realizzando “spazi chiusi”, per loro natura spesso autoreferenziali, un po’ asfittici, in cui i giovani che già vivono situazioni di marginalità vengano confinati nuovamente in contesti posti a lato dello scorrere della “vita normale”. L’apertura verso il mondo, attraverso la partecipazione alla vita della comunità territoriale, rende più semplice apportare correttivi e inventare risposte nuove ai bisogni emergenti.

Tale dialogo, consolidato efficacemente già nella fase progettuale, ha portato durante questi anni alla valorizzazione di rapporti con realtà, persone, istituzioni, aziende con cui si è consolidata un’abitudine al lavoro comune. Si è sviluppata una “rete” di rapporti, di persone, di enti che desiderano mettersi insieme per affermare un metodo di lavoro che potremmo sintetizzare con uno slogan: “fare con”. Un mettersi insieme, senza schemi, per il raggiungimento del bene comune, in questo caso per il bene del singolo ragazzo.

 

Il “fare con”, il farsi compagno di un pezzo di strada, è il metodo che connota tutte le relazioni della Piazza, da quelle del tutor con il ragazzo, a quelle dell’artigiano che si rende disponibile a insegnare un mestiere, al tavolo degli amici della piazza che riunisce ogni mese 35 professionisti e imprenditori che dialogano su come sostenere questa esperienza, fino al rapporto con l’autorità locale, che ha la responsabilità di favorire un reale processo di sussidiarietà, sorreggendo iniziative in grado di fornire risposte concrete a bisogni emergenti.

 

Con la stessa logica, approfondendo i rapporti con le scuole, si sono costruiti percorsi per i docenti, mettendo a disposizione approcci e metodologie testati e consolidati e si sono istituiti percorsi di sostegno allo studio durante i regolari percorsi scolastici per i ragazzi con difficoltà di apprendimento.

 

I rapporti con i servizi sociali, i centri di aggregazione giovanili, le parrocchie, gli enti che per primi percepiscono situazioni di disagio, gli organi di pubblica sicurezza si sono approfonditi nel tempo, fino a creare un vero e proprio salvagente per le situazioni di emergenza e per sviluppare progettualità per supportare situazioni critiche.

 

Nella logica del “fare con” si è inoltre dato molto spazio agli incontri con gli artigiani, le imprese (oltre 700 ormai) e le loro associazioni, per verificare e analizzare le carenze nelle competenze e il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, per costruire percorsi di apprendimento che rispondano alle esigenze del tessuto imprenditoriale. Percorsi in cui si sono coinvolti gli imprenditori e le diverse professionalità presenti nell’impresa; un coinvolgimento che si estrinseca nella partecipazione diretta alle attività didattiche, come nel costante dialogo sui contenuti dei percorsi educativi, per giungere sino alla collaborazione sulla pluralità delle iniziative in cui si estrinseca la vita stessa della Piazza.

 

Infine decisivo è stato il coinvolgimento degli enti locali e delle fondazioni bancarie. La necessità di tale coinvolgimento non è meramente connessa agli aspetti finanziari (che pur sono rilevanti), ma anche alla condivisione vera e propria dell’idea e della sua capacità di rispondere a un bisogno emergente dei giovani del territorio. Se la mission viene condivisa e assunta come propria, tali soggetti possono aiutare l’azione sui ragazzi favorendo l’apertura a nuove reti di interlocutori la cui azione sia complementare e dunque integrabile a quella della Piazza.

 

L’utilità di questa esperienza è sintetizzabile in una poesia scritta da una delle nostre ragazze con cui desidero chiudere questo articolo.

 

Solitudine

Solitudine compagna lieve

Di tutta la gente

Che affolla la mente

Ma svuota l’anima.

Non sei la vincitrice tu

Non sei più la regina:

Qualcuno può sconfiggerti

Con l’abbraccio del bene

Può trafiggerti.

Non è più male la mia vita

Non è più tristezza il mio futuro!

Solo il sapore del ricordo

Mi resta ancora amaro

Ma è già un passato dimenticato

Un tempo rinnovato.