La crisi della politica è una catastrofe e coincide, almeno in parte, con la crisi della sinistra. Non ha dubbi Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera ed ex segretario di Rifondazione Comunista. Le politiche sono sempre più vicine e a sinistra è scoppiato il caos, con la rottura tra Calenda e Letta. Ora il Pd è rimasto con Di Maio, Fratoianni e Bonelli, forse non abbastanza per contrastare il centrodestra. L’ex sindacalista CGIL ha le idee abbastanza chiare…
Cosa ha sbagliato Letta?
Non sono adatto alle analisi specifiche sui comportamenti dei singoli dirigenti perché mi sembrano tutte scelte discutibili. Anzi, addentrarsi nell’analisi dei singoli comportamenti oscura il dato di fondo della situazione: la catastrofe della politica. Non è questione degli errori di questo o di quello, che ci sono, ma vale la pena approfondire gli errori quando il quadro generale – a meno di quegli errori – avrebbe potuto avere una soluzione. Qui invece no, la catastrofe è annunciata per la morte della politica, che nelle emergenze viene sostituita da una soluzione tecnico-oligarchica.
Scusi, si può spiegare meglio?
La politica da signora diventa serva. In questo quadro generale, tutti i protagonisti sono travolti dalla mancanza di densità della politica, della mancanza di rapporto tra la politica e il popolo. Si è determinata una separazione tra i ceti dirigenti e il popolo, la politica galleggia nei ceti dirigenti. Ciò che per questa non-politica è significativo è la relazione tra di loro, ma il Paese ufficiale si è separato dal Paese reale. In questo galleggiamento, le alleanze non sono il risultato di una ricerca di convergenze programmatiche, ma solo per prendere il governo. Le alleanze nascono solo per vincere. I singoli comportamenti in questa fase interessano solo al ceto politico. Uscendo da questa cerchia, il grosso della popolazione è disinteressato a ciò che accade. Sarebbe necessaria una rivolta politica-morale contro tutta questa politica”.
Cosa dovrebbe succedere per trasformare la politica da serva a signora?
Io ho una collocazione precisa, a sinistra, e credo che la crisi della politica e la crisi della sinistra siano strettamente connesse. Non voglio esagerare nel dire che la crisi della sinistra è tanta parte della crisi della politica, ma in un certo senso è vero. La sinistra è stata nella sua storia portatrice di un rapporto particolare con il mondo del lavoro e ha avuto un’idea della politica come idea di costruire un’alternativa della società. Questa pulsione ha alimentato tutta la politica, o per contrastarla o per cercare un compromesso dinamico o ancora per confrontarsi in una sfida per l’egemonia. Il tutto era animato da questi due elementi: un protagonismo sociale degli ultimi e la vocazione di un cambiamento della società. Senza questo stimolo, la politica si chiude nella sua caricatura, la governabilità. Non c’è più, è solo una competizione per andare al governo. Una competizione tra chi è più capace di garantire la governabilità. Se volessi essere ancora più cattivo…
Dica.
Nel nostro tempo i governi europei, e in particolare le esperienze italiane, con questa curvatura tecnico-oligarchica, sono stati loro il perno del sistema, non il Parlamento, i partiti o la società civile. Sono i governi a scegliere le maggioranze, è un paradosso. E’ il governo che dall’alto sceglie di volta in volta le compagini con cui esistere. E quando la politica non ce la fa più, si va verso una soluzione tecnico-oligarchica. Ed è una catastrofe.
Un giudizio netto…
In Francia una sinistra politica è rinata, è tornata protagonista in un Paese dove la contesa era tra il centro e la destra, tra Macron e la Le Pen. La rinascita di una sinistra radicale e influente permette un ritorno al classico, a una contesa tra una sinistra riconoscibile come tale – pacifismo, eguaglianza sociale, avversione alla guerra e così via – un centro che non può che essere democratico e una destra sostanzialmente reazionaria. Tutto questo è il prodotto dal fatto che lo scossone è dato dalla rinascita della sinistra.
Tornado alla politica italiana, passiamo alla destra. Ma il ritorno del fascismo è davvero plausibile o è solo iperbole da campagna elettorale?
Premessa. Io sono un vecchio militante che nasce nella temperie di un nuovo antifascismo, da un moto che a Genova impedisce il congresso del Movimento Sociale Italiano. Io penso che l’antifascismo sia il fondamento della nostra Costituzione e della nostra Repubblica. Il fascismo è stato quell’avvento tragico di una forza reazionaria contro i braccianti, gli operai, i socialisti e i comunisti. Una vendetta sociale che diventa imperialismo fascista, quello che finisce il 25 aprile 1945. Quello è il fascismo.
E’ possibile che quella storia si ripeta qui?
No. C’è stato un rischio negli anni Sessanta e Settanta, ma credo che oggi non ci sia. Tuttavia, penso che ci vogliano degli elementi di chiarimento politico. Non dico alla Meloni che la sua formazione è fascista. Io vorrei che pubblicamente le venisse chiesto se si dichiara antifascista. Finora a questa domanda non ha mai dato una risposta e credo che prima o poi la dia esplicitamente”.
La sua analisi sulla destra è tranchant…
Questa destra è un inno alla diseguaglianza e alla discriminazione sociale. L’ultimo viene considerato colpevole o inquinante la società. Basti pensare agli immigrati. La Meloni è una politica avveduta – e per questo peggio mi sento – e propone il blocco navale, una cosa che in Europa non si può fare, è vietato. Perché lo fa? Perché secondo me è in sintonia con la destra americana. La nuova destra è costruita su una società pensata come sistematicamente fondata sulle diseguaglianze. E’ legata a quella cultura che Foucault denunciava come la cultura del ‘sorvegliare e punire’. Non c’è un’idea di promozione degli ultimi, ma un’idea secondo cui i successi che si realizzano nella società – anche a scapito di altri – sono giustificati in sé. Io penso che la destra vada combattuta per una questione di civiltà, ancor prima che per una questione di governo. Trump è stato sconfitto , ma vede come vive la cultura del rancore e della discriminazione nella società americana?.
Teme che possa arrivare anche in Italia?
Sì, c’è. Non ha le forme della società americana, ma c’è. Questa cultura striscia nella destra, con il rifiuto della cultura della solidarietà.
Lei vede qualche personalità a sinistra in grado di poter portare avanti questi propositi?
Io credo che un leader a sinistra si costruisce nel prodursi della nascita e della crescita del soggetto. Mentre per la destra è sempre stato possibile avere un capo carismatico, per la sinistra – anche con leader carismatici – c’è sempre stato il leader di una chiesa, di una comunità. Un’espressione riconosciuta della comunità. Oggi la crisi verticale dei partiti chiede la costruzione di una nuova soggettività e in questa nuova soggettività si formerà il suo leader.
In questa campagna elettorale non si parla di vincoli europei, come mai?
Perché sono accettati da tutta la politica. C’è una cosa impressionante: fino a qualche tempo fa, ognuna di queste scelte chiamava in causa un dibattito tra favorevoli e contrari. L’operazione di anestetizzazione della politica operata da Draghi e ora assolutizzata con il mito dell’agenda Draghi, fa sì che alcune scelte vengono negate come tale perché vengono attribuite al loro carattere neutraliter. L’agenda Draghi è l’oggettivizzazione che la politica scelta dai governi di concerti con Ue e Bce non sono il frutto di una scelta politica, ma sono necessitate. Tutti quelli che vogliono candidarsi al governo la devono accettare senza discussione. E dunque morte della politica.
E poi c’è pure il tema delle alleanze…
L’Italia ha discusso a fondo il tema delle alleanze atlantiche e anche quando si è accettata l’adesione alla Nato, le tendenze sia del mondo socialista-comunista sia di quello cattolico in politica hanno mescolato delle istanze pacifiste e neutraliste. Basti pensare alla solidarietà con il popolo palestinese, alla vicenda della guerra del Vietnam e potrei andare avanti così. Oggi invece questa discussione è cancellata. Senza colpo ferire, con Draghi siamo diventati dei gendarmi dell’alleanza atlantica e siamo entrati nel partito della guerra malgrado qualsiasi sondaggio dica che la maggioranza del popolo italiano è contro l’invio delle armi all’Ucraina. Il popolo non ha voce.
C’è sempre una costante però…
La politica è morta, sostituita da un meccanismo di comando che discende direttamente da quelli che vengono considerati gli interessi del sistema. Il popolo è una variabile dipendente, non è una realtà complessa o il fondamento della democrazia: è una variabile dipendente dalle scelte dominanti. Il popolo è come l’intendenza di De Gaulle, seguirà. Finchè non si rivolterà e lì inizierà un’altra storia.
(di Massimo Balsamo)
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