La stagione lirica del Teatro alla Scala è stata inaugurata con grande successo, alla presenza del Capo dello Stato e con teatro pienissimo in ogni ordine di posti. Si respirava euforia sin nel foyer entrando in teatro, perché l’evento veniva sentito come la fine del lungo periodo di chiusure dovute alla pandemia. Macbeth di Giuseppe Verdi, opera inaugurale nella versione del 1865 per Parigi (ormai considerata la versione di riferimento) con l’aggiunta dell’aria finale del protagonista nella versione andata in scena al Teatro La Pergola di Firenze; non tratto dall’opera in sé, e neppure dalla tragedia di Shakespeare su cui è basata.
Analizziamo brevemente le determinanti del successo. Il regista Davide Livermore (scene di Giò Forma, costumi di Gianluca Falaschi, luci di Antonio Castro, video D Work, coreografia di Daniel Ezrakow), ha concepito lo spettacolo in uno stile cinematografico o televisivo allo scopo di aumentare l’utenza. In effetti, si è potuto vedere ed ascoltare la “prima” in 30 sale cinematografiche, nonché sui canali Rai1 e Rai5, e, credo, su alcune reti estere.
È uno spettacolo veloce, con frequenti cambiamenti di scena a vista ambientato nel mondo di oggi (o di domani) caratterizzato da grattacieli, scene a più livelli, un ascensore. Siamo in un clima da “horror story”, tipo Gangs of New York. Il ritmo veloce ed incalzante, la tensione continua di una vicenda al cui centro c’è la brama per il potere si addice a Macbeth ed è aiutata dall’ottima recitazione di quasi tutti gli interpreti.
Livermore non lo ha detto, ma è possibile che dietro lo stile televisivo-cinematografico ci sia stato anche un banale, ma sensato, “principio di precauzione”: realizzare una produzione che potesse essere fruita anche al di fuori della sala del Piermarini nell’eventualità di restrizioni dovute ad un peggioramento della situazione epidemiologica.
Come si è accennato, non è un’edizione filologica, in quanto l’aria finale del protagonista del Macbeth del 1847 è stata aggiunta alla stesura del 1865, ma funziona, ed oltre a dare a Luca Salsi (Macbeth) la possibilità di terminare con un grande brano vocale, si inserisce bene nel clima dello spettacolo.
La direzione di Riccardo Chailly è precisa e puntuale ma tersa, in linea con una produzione dai toni scuri e, al tempo stesso, piena di ritmo. Ottimi i complessi scaligeri: balletto e coro, preparato da Bruno Casoni.
Andiamo alle voci, che in Macbeth sono particolarmente importanti anche perché non è un’opera a “pezzi chiusi”, come gran parte della produzione italiana della metà dell’Ottocento: arie, ariosi, duetti e brani di insieme sono collegati da recitativi e declamati che scavano nelle psicologie dei personaggi.
I protagonisti sono due. Macbeth (Luca Salsi) e la sua Lady (Anna Netrebko) i quali per il potere hanno rinunciato ad avere prole (è chiarissimo nello unsex me della tragedia di Shakespeare). In questa versione non sono solo assetati di potere e di sangue, ma anche visibilmente psicopatici. Due personaggi leggermente minori sono Banco (Ildar Abdrazakov), che esce di scena dopo l’inizio del secondo atto, e Macduff (Francesco Meli) che ha pagine importanti solo del quarto atto e Malcolm (Iván Ayón Rivas) il cui squillo al quarto atto è il segno del riscatto. Predominano le voci scure. Macbeth e Banco sono un baritono ed un basso. Per Lady Macbeth ci vuole – come diceva Verdi – una “voce sporca”, forse il compositore pensava ad un soprano in grado di scendere a registri piuttosto bassi (come fu Maria Callas) od ha un mezzo soprano (come Shirley Verrett o come Ekaterina Semenchuck che sostituirà Anna Netrebko nell’ultima recita).
La meno appropriata in un cast stellare è parsa l’ormai giunonica Anna Netrebko: sono passati circa trent’anni da quando debuttò a San Pietroburgo nel ruolo della mozartiana Susanna ne Le Nozze di Figaro e quasi venti dalla sua trionfale Traviata a Salisburgo. L’aria iniziale “Ambizioso spirto” è stata accolta con quale dissenso; si è ripresa nel resto dello spettacolo, ricevendo molti applausi nella scena del sonnambulismo (“Una macchia è qui tuttora”).
Luca Salsi e Ildar Abdrazakov sono interpreti a tutto tondo (sia vocali sia drammatici). Generoso, come sempre, il canto di Francesco Meli. Bello lo squillo di Iván Ayón Rivas.
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