Filippo Anelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Medici e Odontoiatri, ha dichiarato nelle scorse ore che «in Italia abbiamo un sistema vaccinale super rodato da 20 anni a questa parte e che possiamo amplificare per il Covid, ma ancora nessuno ci ha chiamato per partecipare alla campagna». E ha aggiunto: «Noi medici convenzionati siamo in 60mila, se vacciniamo 20 persone al giorno ciascuno arriviamo a più di 1 milione di immunizzati ogni 24 ore». Abbiamo chiesto al Prof. Anelli di esporci la sua idea di piano vaccinale e di spiegarci le possibili modalità della sua attuazione in tempi rapidi con il coinvolgimento dei medici di medicina generale e con il ricorso a quello che, per tutti gli altri vaccini, è ormai un meccanismo ormai ben rodato nel sistema di medicina territoriale del nostro Paese.



Professore, qual è la sua idea di piano vaccinale e perché, come ha evidenziato, non siete stati finora coinvolti?

Per quanto riguarda la prima fase, quella attualmente in corso, che riguarda la vaccinazione dei sanitari e dei pazienti di Rsa, in realtà la difficoltà è legata alla scarsa maneggevolezza del vaccino. Per questo motivo il governo e il commissario Arcuri hanno optato per un’organizzazione del sistema di vaccinazione centralizzato, coi centri all’interno dell’ospedale per vaccinare tutti i medici ospedalieri e i dipartimenti di prevenzione sul territorio, sufficienti insieme a svolgere il tipo di attività previsto da questa prima fase.



Quindi il motivo per cui non siete stati ancora chiamati è puramente tecnico?

Probabilmente sì. Nel momento in cui si dovrà passare alla vaccinazione delle altre categorie la questione assume un carattere diverso. Si dovrà decidere se continuare a usare un modello centralizzato o se applicare invece un modello diverso, che preveda il coinvolgimento della macchina organizzativa che abbiamo sempre utilizzato per le vaccinazioni, col coinvolgimento dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta.

Un meccanismo che, come diceva, è già rodato?

Si tratta di un meccanismo completamente diverso, una macchina che è appunto ampiamente rodata e abituata a svolgere questa attività. Un’attività che, anche per la vaccinazione anti-influenzale, comporta un’organizzazione attiva da parte dei medici, i quali chiamano i propri assistiti in ragione dell’età o del rischio o delle fragilità che possono avere.



Dipende però dal vaccino che verrà utilizzato?

E chiaro che se il vaccino fosse quello di Moderna o di AstraZeneca le difficoltà sarebbero praticamente nulle, la vaccinazione sarebbe analoga a quella anti-influenzale. Se invece dobbiamo organizzare una vaccinazione col vaccino Pfizer la situazione diventa più complicata, al fine non tanto dell’inoculazione ma di una precisa organizzazione volta a non sprecare alcun vaccino.

Se invece si decide per una vaccinazione centralizzata?

In questo caso si dovranno mettere su dei centri in cui la gente si dovrà recare per vaccinarsi. A dire il vero questo è un meccanismo che è stato utilizzato nei primi anni 2000 e allora abbiamo visto che sostanzialmente non ha dato grandissimi risultati in termini di efficacia e di raggiungimento degli obiettivi. Fin da allora si è convenuto sul fatto di dover ricorrere alla medicina generale, perché gli ambulatori sono diffusi capillarmente su tutto il territorio, quindi capaci di raggiungere anche le parti più lontane e periferiche del Paese.

In seguito alle sue dichiarazioni c’è stata qualche novità?

Ieri (6 gennaio, ndr) c’è stato l’incontro fra il Presidente della Conferenza delle Regioni Bonaccini, il commissario Arcuri e i due ministri, Speranza e Boccia, al termine del quale un comunicato ha ribadito la necessità del coinvolgimento della medicina del territorio. Questo coinvolgimento necessita però di una serie di passaggi per la messa a punto.

Cioè?

È un modello che sicuramente sul piano organizzativo è già rodato, ma bisogna rivedere ad esempio le priorità, chi chiamare prima, chi chiamare dopo, in base alle specificità di questa malattia e dei vaccini.

I medici di base al momento non sono stati allertati?

I medici di base non sono allertati in questo momento, stanno aspettando ovviamente di essere convocati. Noi abbiamo sentito il Ministro e mi pare ci sia tutta l’intenzione di avviare un incontro con le organizzazioni sindacali di categoria. Saranno loro a svolgere questa attività di elaborazione di un protocollo che li vedrà poi coinvolti in maniera attiva.

Secondo lei quando s’inizierà a vaccinare il resto della popolazione?

Io credo, considerando che la ripresa del vaccino Pfizer va fatta dopo 21 giorni, che l’obiettivo di vaccinare tutti i sanitari tra la prima e la seconda dose dovrebbe terminare entro la fine del mese di febbraio. In seguito, tenendo conto anche dei ritardi di alcune regioni, si procederà alle altre vaccinazioni.

E poi?

Poi bisognerà vedere quali tipi di vaccino saranno disponibili, decidendo le modalità di somministrazione a seconda anche del modello che verrà scelto, se centralizzato o territoriale, e naturalmente anche in base alle categorie: forze dell’ordine, poi malati cronici e anziani, che solitamente vengono seguiti dai medici di base. Bisognerà definire col commissario Arcuri quali sono le categorie e come orientarsi, anche perché l’autorizzazione dei vari tipi di vaccino tiene conto delle caratteristiche, della sensibilità di alcuni soggetti. È un po’ quello che avviene per l’anti-influenzale: ci sono vari tipi di vaccini, non tutti i tipi hanno un’indicazione univoca, alcuni sono orientati per alcune fasce di popolazione, altri per altre fasce.

E in questo modo, verosimilmente, si potrà procedere coi ritmi da lei ipotizzati, con 1 milione di vaccinati ogni 24 ore?

Si fissano degli obiettivi: ogni medico può vaccinare 20, 30 persone al giorno in base alla disponibilità di dosi, esiste anche la possibilità di allargare agli specialisti operanti sul territorio, raggiungendo così numeri ancora più alti. Certo, c’è bisogno di un sistema informatico centralizzato con cui monitorare le vaccinazioni e verificare se il soggetto è stato già vaccinato o meno.

Questo sistema informatico ancora non c’è?

Immagino sia già in essere se stiamo tenendo traccia dei vaccini somministrati finora. Abbiamo bisogno però di un momento organizzativo importante a livello territoriale, con strumenti informatici messi a disposizione dei professionisti dalle varie Regioni.

(Emanuela Giacca)

 

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