Di fianco alla Basilica di Sant’Alessandro in Captura, nella Bergamo martoriata dalla pestilenza del coronavirus, esiste dal 1500 un convento di frati cappuccini, al cui interno, dal 1958, è ospitata una mensa per i poveri. Una mensa che prima dello stato di emergenza ospitava circa 150 persone. “Oggi – racconta frate Riccardo Corti, che a questa mensa si dedica a tempo pieno – da quando è cominciata l’emergenza il numero è aumentato di una trentina di persone. Si tratta di stranieri, anziani che con la pensione percepita non riescono a permettersi due pasti al giorno, giovani con problemi di tossicodipendenza, padri separati di famiglia. Quelle che sono le nuove povertà”. In una città nota per essere uno dei capoluoghi più ricchi della Lombardia, il virus ha falciato centinaia di persone, riducendo in modo sensibile le attività economiche: “Non per questo i gesti di solidarietà mancano, anzi sono aumentati. Io li chiamo segni della Provvidenza: bar, fruttivendoli, panettieri che oggi vendono molto meno del solito continuano a produrre e ci regalano quanto possono. In un momento dove la morte sembra trionfare, tocchiamo con mano la vita che si ribella alla morte, segno della Pasqua di Resurrezione che stiamo per vivere”.
La mensa del vostro convento ha una storia molto lunga?
Sì, esiste dal 1958. Nel 2013 il convento è stato restaurato e adesso possiamo usare un ampio salone con 72 posti a sedere e in due turni diamo da mangiare a circa 150 persone.
Un bel numero. Anche a Bergamo c’è una realtà di disagio?
Purtroppo sì. Sono quelle che si chiamano nuove povertà: la maggior parte sono stranieri, poi ci sono anziani la cui pensione non basta a sfamarli, ragazzi con problemi di tossicodipendenza, padri separati.
Come è cambiato il vostro lavoro con l’arrivo del virus?
E’ aumentato il numero dei bisognosi, adesso serviamo circa 170 persone. Non possiamo più farli entrare in convento, così portiamo loro il cibo fuori, per strada.
Per dare il cibo a questi poveri come vi organizzate? Vi autosostenete?
Abbiamo tanti segni dalla Provvidenza. Ci sono persone che portano generi alimentari oppure offerte in denaro. Anche il Comune ci dà una mano così come alcuni privati. C’è un fornaio, ad esempio, che tutti i giorni ci regala pane fresco. Durante la Quaresima e l’Avvento le parrocchie fanno raccolte per la mensa. C’è una sensibilità molto forte a livello cittadino per questa nostra realtà.
In questo periodo il sostegno è diminuito, viste le difficoltà che sta vivendo la città?
Di certo ristoranti e negozianti non vendono più come prima, ma ci sono bar che ad esempio ci portano dolci da loro preparati oppure il fruttivendolo. C’è una vera mobilitazione.
Se lo aspettava?
Io sono positivamente abituato a vedere la Provvidenza che agisce, ma non mi aspettavo una reazione così, perché la situazione è critica per tutti. La gente sta allargando il cuore nonostante le difficoltà, ha capito che c’è chi ha più bisogno.
Che cosa muove secondo lei queste persone?
Tra una settimana celebreremo la Pasqua: c’è la morte, ma anche segni di resurrezione che già si vedono.
Questo atteggiamento lascerà un segno quando si tornerà alla normalità?
Penso e spero che si imparerà ad apprezzare di più la normalità e quello che si dava per scontato non si darà più per scontato.
La diocesi di Bergamo è stata colpita dalla morte di tanti sacerdoti. E’ un segno?
E’ vero, è il segno di una presenza nella società. Penso a don Fausto Resmini, un sacerdote che era molto conosciuto in città, un prete di strada vicino ai poveri che aveva anche aperto una mensa e faceva il cappellano del carcere.
Sono morti per essere rimasti con il loro popolo. E’ esagerato parlare di nuovi martiri?
Don Fausto ha contratto il virus rimanendo con le persone povere. Sono forme nuove di fede. Più che di martirio parlerei di una totalità nella sequela a Gesù.
Che Pasqua sarà quest’anno?
Un modo per affrontare la sofferenza di tanti è stare in silenzio, è sapere che pur essendo in silenzio ci sono presenze che possono aiutare. Noi frati, ad esempio, diciamo tutte le sere il rosario per le persone che sono venute a mancare o che sono in difficoltà.