Un’altra serie di successo di Netflix è La regina degli scacchi, uscita il 23 ottobre 2020 e che dopo quattro settimane ha avuto 62 milioni di accessi. L’8 gennaio di quest’anno è uscita Lupin che in meno di un mese è arrivato a 70 milioni. Non c’è da fare un paragone tra i due prodotti, sono completamente diversi, ma The Queen’s Gambit (titolo originale, dove Gambit sta per un’apertura del gioco) ha superato le aspettative perché il gioco degli scacchi è molto di nicchia, la sua protagonista, Anya Taylor-Joy non è conosciuta come Omar Sy (Lupin), orami star planetaria, e la storia del ladro Lupin è famosa al di fuori dell’Europa. Negli Usa, c’è stato un aumento della vendita delle scacchiere pari al 125%. E questo la dice lunga sull’affermazione della serie.
In questo articolo spoilerò poco, per Lupin ho ricevuto varie tirate d’orecchi. Partiamo perciò dal fatto che il gioco degli scacchi è nato in Cina nel VI secolo. Passiamo al XX secolo in cui la scuola scacchistica russa ha dominato dagli anni ’70 con alcuni nomi leggendari: Boris Spasskij, Anatolij Karpov, Garry Kasparov. Tra i primi due s’intromise lo statunitense Bobby Fischer con una vittoria nella mitica sfida del 1972 che lo portò alla conquista del campionato del mondo. C’era la Cortina di ferro e la vittoria di un americano contro un russo ha simboleggiato per gli States un duro colpo all’orso comunista.
Nell’Urss vi è sempre stata un’accademia dove i ragazzini prodigi studiavano e si allenavano. Più o meno tutti personaggi particolari ma abbastanza equilibrati. È considerato uno sport popolare tanto che la gente giocava e gioca nei parchi. Io l’ho visto nel 1998 a Mosca: tutte le fasce d’età sedute davanti a una scacchiera con tavolini a due posti.
Fischer è stato un’anomalia, personaggio scontroso, solitario, che dopo la vittoria mondiale non ha più giocato e ne ha combinate di tutti i colori. L’hanno definito pazzo, ma Spasskij ha affermato invece che il gioco degli scacchi ha preservato lo statunitense dalla pazzia.
La serie è tratta dal romanzo di Walter Tevis, vi dice qualcosa? Scrisse “Lo spaccone”, “Il colore dei soldi”, “L’uomo che cadde sulla terra”, da cui furono tratti dei grandi film. Il regista è Scott Frank, prima bravissimo sceneggiatore (andate a leggere il suo c.v.) e poi dietro la macchina da presa sempre per Netflix con la miniserie Goodless (2017). La scelta della giovane Anya Taylor-Joy come protagonista è stata azzeccata: è passata da adolescente a ragazza a giovane con una capacità espressiva fenomenale.
Il genere è drammatico. Beth Harmon rimane orfana per un incidente in cui muore la madre, il padre non esiste. Entra in un orfanotrofio dove l’unica amica è Jolene, un’afroamericana disillusa e più grande. Nello scantinato trova il custode, Shaibel, che gioca da solo a scacchi e lei impara in un batter d’occhio. Ha nove anni ed è un portento naturale. Viene adottata da una coppia del Kentucky, ma il patrigno se ne va e Beth resta con la madre adottiva casalinga, dedita all’alcool e al pianoforte. Inizia a frequentare i tornei di scacchi e a quindici anni è campionessa americana. Con i tornei guadagna e gira il mondo. Vuole diventare campionessa del mondo. Ci riuscirà? Di più non dico, guardate la serie.
Le mie impressioni. Immedesimatevi in una bimba di 9 anni che vede morire la madre in un incidente (anche Beth era in auto), senza padre viene mandata in orfanotrofio. Camerate, regole, rigidità, poco affetto. Lo sceneggiatore ha rimarcato in maniera negativa la cattolicità dell’ente, anche se era gestito da laici, ma chi si è sempre preso cura degli orfani e poveri? Il comunismo?
Povera bimba, cresce anaffettiva, e scoprendosi un genio degli scacchi vive per quel gioco. Viene adottata, ma anche lì il padre finché non va via di casa la mal sopporta, mentre la madre si sente frustrata. Le compagne di scuola la deridono. Gli scacchi diventano il suo obiettivo di vita ed al tempo stesso un’ossessione: vuol vincere sempre per arrivare a incontrare i più forti scacchisti del mondo. Per una sconfitta le crolla il mondo addosso comincia a bere e a lasciarsi andare. Rifiuta l’aiuto di un amico scacchista e di un campione (anche lui giovane) che sono ai suoi piedi. Ma un avvenimento inaspettato arriva alla sua porta, l’amica afroamericana Jolene si presenta alla porta.
Pian piano rifiorisce e anche il rapporto con la madre adottiva prende vigore. L’ossessione di diventare la campionessa del mondo non le passa, ma gli affetti pian piano la cambiano e l’aiutano.
Il talento non ce lo diamo da noi, Qualcuno ce lo riserva sin dalla nascita, nel romanzo e nel film di questo Qualcuno non vi è neppure un accenno, ma è reale che da soli ci si smarrisce come Beth. Shaibel, il custode che l’avvia al gioco, a un certo punto sussurra che il talento è una medaglia a due facce, una la capacità naturale e l’altra l’affronto della vita che è tutt’altra cosa.
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