Complici i problemi di salute di Giorgio Napolitano, è toccato a Liliana Segre presiedere la prima seduta del Senato che, poco dopo, ha eletto a presidente Ignazio La Russa.
Da una parte, la visione plastica della shoah e dell’antifascismo; dall’altra, quella di un personaggio che non ha mai nascosto le sue opinioni politiche che – se non apertamente neofasciste, almeno in gioventù – sicuramente erano antagoniste a quel mondo che nella Segre ha uno dei suoi esempi più alti.
Ironia della sorte i due si erano “beccati” ancora di recente, quando – nell’ennesima polemica preelettorale sul fascismo per la presenza della fiamma missina nel simbolo di Fratelli d’Italia – La Russa ricordò come anche il marito della Segre, l’avvocato Alfredo Belli Paci, si candidò al Parlamento, nel 1976, nella circoscrizione Milano-Pavia con il Movimento sociale di Almirante.
Nel suo intervento la Segre non ha mancato di ripetere a lungo una profonda condanna e i rischi legati al fascismo – in un lungo excursus che è andato dalla marcia su Roma alla Resistenza – ma con galanteria La Russa ha chiuso la questione offrendo poi alla Segre un mazzo di fiori bianchi, quasi a suggellare la chiusura di un lungo antagonismo.
Certo, chi avrebbe mai pensato qualche mese fa che uno come Ignazio La Russa (che di secondo nome fa Benito) sarebbe salito alla seconda carica della Repubblica? Una famiglia da sempre in politica – quella dei La Russa – con il fratello di Ignazio esponente di punta per FdI a Milano e in Regione Lombardia (e ancora la settimana scorsa censurato dalle opposizioni per aver fatto il saluto romano al funerale di un vecchio “camerata”), ma già con il padre Antonino, deputato e poi senatore siciliano del Msi per diverse legislature. Un altro fratello più anziano, Vincenzo, fu deputato per la Democrazia cristiana ed è deceduto l’anno scorso.
Estroverso, barricadero, leader della gioventù missina a Milano negli anni 70, Ignazio La Russa (quasi irriconoscibile nelle foto del tempo con i capelli lunghi, in prima fila durante le manifestazioni) è uno che non le manda a dire e che da giovane non si è mai tirato indietro se c’era da menar le mani. Pochi sanno che La Russa appare anche nel film di Marco Bellocchio (Sbatti il mostro in prima pagina) nelle riprese dal vero di un comizio della “maggioranza silenziosa” organizzata a Milano dal suo predecessore e amico avvocato Gastone Nencioni, cui La Russa successe in Parlamento. Anni duri: nell’aprile 1973 fu accusato di complicità almeno morale negli scontri di piazza Unità d’Italia quando fu ucciso da una bomba a mano l’agente di pubblica sicurezza Antonio Marino.
Parlamentare dal 1992 dopo una lunga parentesi nel Consiglio regionale lombardo e già vicepresidente del Senato, Ignazio non ha mai nascosto il suo appeal per il gentil sesso – innumerevoli i flirt che gli sono stati attribuiti – e ha tre figli: Antonino Geronimo, Lorenzo Cochis e Leonardo Apache, giusto a sottolineare la sua volontà di distinguersi dal pensiero comune come fosse l’indipendenza indiana dall’uomo bianco.
Ma queste note biografiche contano poco. Il segnale politico – oltre alle prime crepe nel centro-destra con l’astensione dal voto di Forza Italia – dell’elezione di La Russa è quello di un’Italia in cui evidentemente le parole della Segre appaiono come un doveroso richiamo alla storia, ma sono ormai – appunto – un riferimento ideale più che politico in un paese dove, se a un ragazzo chiedi cosa fu la marcia su Roma, sei visto quasi come un marziano, nell’ignavia pressoché totale.
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