Nell’augurare buon lavoro alla neoeletta seconda carica dello Stato, il senatore Ignazio La Russa, presidente del Senato della Repubblica, alcune considerazioni si impongono. Val la pena infatti ricordare come, nel nostro ordinamento costituzionale, i due presidenti delle Assemblee parlamentari hanno compiti di grande rilievo, che si estende ben al di fuori del Parlamento: il presidente del Senato, infatti, sostituisce il presidente della Repubblica in caso di assenza o impedimento mentre il presidente della Camera presiede il Parlamento in seduta comune, organo che elegge il presidente della Repubblica e molti altri importanti membri di importanti collegi di rilievo costituzionale, vale a dire la Corte costituzionale (per un terzo) e il Consiglio superiore della magistratura (sempre per un terzo).
Essi hanno un ruolo ben definito anche nell’ambito dell’Assemblea stessa: convocano le sedute, dirigono i lavoro dell’aula, dirimono le questioni controverse relative all’interpretazione del Regolamento, coadiuvati dalla Giunta per il Regolamento e, secondo le norme della Costituzione, integrate da quelle dei rispettivi Regolamenti, vengono eletti a maggioranza assoluta o qualificata.
La Costituzione, in verità, non prescrive alcuna maggioranza né assoluta né qualificata per l’elezione del presidente; sono i Regolamenti parlamentari, diversi tra Camera e Senato, emanati a loro volta a maggioranza assoluta, che stabiliscono dei quorum più elevati per tale elezione, a riprova del fatto che – come dice la dottrina – tale ruolo è essenzialmente un ruolo di garanzia del buon funzionamento dell’organo, a tutela di tutte le parti politiche presenti e non solo della maggioranza di governo.
La natura di organo di garanzia, che per questo imporrebbe ai presidenti, nel loro operare, di mantenere un profilo alto, istituzionale, distaccato rispetto al partito nel seno del quale sono stati eletti, è comprovata anche dalla nostra storia costituzionale: nei primi anni Novanta, un periodo particolarmente delicato, i due presidenti – per ampio accordo tra i partiti presenti in Parlamento – sono stati designati ed eletti tra parlamentari appartenenti uno alla maggioranza di governo e uno all’opposizione, scelta degna di apprezzamento sul piano istituzionale per il suo valore simbolico (ma anche altamente concreto) di una sostanziale unità di intenti tra i partiti, pronti a contrapporsi su tutto quanto riguarda il merito delle scelte politiche, dividendosi tra maggioranza e opposizione, ma capaci di dare un segno forte di idem sentire nei riguardi delle scelte di fondo, delle regole dei gioco: una scelta coerente con quel senso delle istituzioni richiamato a gran voce anche oggi da Liliana Segre, nel suo discorso di apertura della prima seduta del Senato. In seguito, in presenza di governi di coalizioni anche fortemente conflittuali, i partiti si sono orientati diversamente e sono tornati allo status quo ante, attribuendo le due cariche ai partiti maggiormente votati nell’ambito della coalizione di maggioranza.
Questi aspetti possono aiutare a comprendere l’odierna elezione e gli accadimenti che hanno caratterizzato la giornata, assai tormentata. Essi hanno rivelato una forte difficoltà interna alla coalizione che si appresta a governare il Paese che non riguarda, tuttavia, la singola circostanza della votazione ma rivela quanto le future questioni in merito alla formazione del governo abbiano influenzato i comportamenti dei protagonisti, a partire dal sen. Berlusconi, che ha (inaspettatamente?) palesato il suo dissenso prima in via informale, poi ritirando dall’aula la quasi totalità dei senatori del suo partito al momento della votazione. Sono così venute alla luce logiche non coerenti con il ruolo di garanzia dell’organo e che non possono che creare sconcerto anche in vista della tenuta di una coalizione che aspira – e giustamente – a governare il Paese.
Poi, come è noto, il candidato di Fratelli d’Italia ha ottenuto i voti necessari alla elezione, una elezione che richiedeva la maggioranza assoluta dei componenti del Senato, per raggiungere la quale sono stati necessari voti provenienti da formazioni politiche esterne al centro-destra. Il che è in parte paradossale, ma in parte anche spiegabile secondo la logica garantista che deve caratterizzare il ruolo dell’eletto: paradossale perché una coalizione che ha una maggioranza piena nell’assemblea si è spaccata per motivi estranei rispetto al processo in atto ma, ad un tempo, leggibile in termini pienamente istituzionali, visto che l’elezione, al cui successo hanno significativamente contribuito parlamentari che si preparano a svolgere il ruolo che spetta all’opposizione, ha dato un esito che conferma pienamente il gradimento e la fiducia verso l’eletto, che ora si appresta a svolgere il suo ruolo di garante forte di un appoggio esplicitamente e indubitabilmente bipartisan.
Felix culpa, dunque? O, detto altrimenti, tutto è bene quel che finisce bene? Rispondere positivamente comporta tuttavia la consapevolezza che questo importante risultato non è tale per accorte scelte istituzionali, ma per una buona dose di calcolo politico e ironia della sorte.
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