Carla Nowak è la nuova insegnante di matematica ed educazione fisica di una scuola media tedesca, al suo primo impiego. Fin da subito, la giovane professoressa mostra di volere mettere tutto il suo impegno nel suo importante ruolo, che vive animata da una grande passione, una forte empatia e ideali profondi. Tutto sembra funzionare, nel suo rapporto con la classe, fino a quando non avvengono dei furti sospetti, a scuola, che minano le relazioni tra studenti, docenti e famiglie. La sua determinazione nel difendere i ragazzi e nel fare emergere la verità finirà per trasformarsi in un doloroso boomerang.
La sala professori è nella lista dei cinque film in lingua straniera, candidati agli Oscar di quest’anno. Se la gioca, tra gli altri, con il nostro Io, capitano – un film ambizioso che non trova, a mio parere, un equilibrio narrativo all’altezza del tema – e con l’agghiacciante e disturbante La zona d’interesse – sul nazismo attorno ad Auschwitz, decisamente il mio favorito per il premio.
La sala professori in ogni caso merita. È un ottimo film sulle dinamiche sociali e relazionali a scuola, tema attorno a cui esistono già diversi buoni precedenti.
L’opera di Ilker Çatak, regista e sceneggiatore berlinese poco conosciuto in Italia, ci porta nel backstage della classe, la sala professori, dove gli insegnanti dismettono la maschera del loro ruolo pubblico per diventare semplicemente uomini e donne, con le loro paure e difficoltà, i loro sospetti e pregiudizi verso colleghi e studenti. La sala professori è, come ogni “ufficio”, un mondo complesso e complicato, almeno tanto quanto è complicata un’aula di ragazzini. Un luogo con le sue regole, le sue alleanze, le sue virtù e le sue meschinità.
Nella sala professori c’è chi invoca tolleranza zero e rispetto assoluto delle regole. E lo fa con piglio autoritario e intransigenza.
C’è chi si nutre di giudizi e pregiudizi nei confronti di storie, famiglie e Paesi d’origine. E punta il dito sui “soliti”, facile capro espiatorio dei problemi dell’angusto universo scolastico, responsabili e colpevoli di tutto quello che succede, ma non del proprio colore della pelle, né tantomeno del proprio reddito familiare.
C’è chi prova a guardare dietro, alle storie di famiglia, alle cause di disagio, alle barriere sociali e relazionali che provocano turbamento, chiusure, contrasti. Che si amplificano inevitabilmente nel fragile negozio di cristalleria che è qualunque classe un po’ lasciata a se stessa.
La sala professori è il luogo delle teorie, microcosmo sociale con gli scheletri di qualunque armadio.
Carla, la nuova arrivata, è animata da nobili propositi. Ma non tutte le ciambelle vengono col buco. La sua coraggiosa fatica per difendere i ragazzi (e ancor di più quelli deboli) si trasforma nella sbigottita paura di chi si deve difendere dall’attacco del branco. Una sconfitta impietosa che trasforma la virtù in peccato e il sacro tempio dell’educazione in un’arena di gladiatori, in cerca di sopravvivenza.
Un film magistrale nel raccontare le dinamiche di gruppo, la cultura del sospetto, la vocazione al confronto tribale e alla semplificazione della verità, oltre ogni buonsenso. Specchio dei nostri tempi.
Un film evocativo, snervante, accompagnato da una colonna sonora che fa thriller e ricco di spunti. Ancora di più per me che di mestiere faccio, tra le altre cose, il professore.
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