Parlare di deriva antidemocratica a proposito dell’Italia contemporanea è irragionevole. Tuttavia nulla è più semplicistico quanto l’irridere o il ridicolizzare i giovani contestatori che martedì 25 ottobre, nella Facoltà di Scienze Politiche di Roma La Sapienza, hanno preteso di impedire lo svolgersi di un’assemblea condotta da un’associazione non di sinistra e vicina all’area conservatrice.
Così come non è da irridere la loro richiesta di dimissioni del Rettore di questa stessa università. Deriderli vuol dire non prendere realmente in considerazione quanto ritengono di essere: la legittima espressione di una cosciente reazione popolare che non concede né può concedere nessuno spazio – o come si diceva nella mia giovinezza: nessuna “agibilità politica” – ad espressioni culturali di una destra che, a loro avviso, non può essere che fascista, quindi illegale oltre che impopolare.
La loro protesta, che si sarebbe certamente convertita in impedimento fisico e, verosimilmente, in espulsione dall’aula e dall’università degli studenti del gruppo conservatore nonché dei loro “amici e fiancheggiatori”, è stata vissuta dai primi e viene quindi narrata come un atto di grande militanza civica. Un vero e proprio dovere democratico che non esita ad escludere dall’Università le stesse forze dell’Ordine: “oggettivamente schierate” a fianco della “destra eversiva”.
Ciascuno può prendere le distanze o meno da simili dichiarazioni, ma non c’è dubbio che sia proprio questa la rappresentazione che è stata autenticamente vissuta dagli studenti “democratici e antifascisti” che mercoledì 26 ottobre si sono scontrati con la polizia nell’ateneo romano.
Ora, l’elemento essenziale e meritevole di analisi sta nel fatto che questa rappresentazione, che ritiene la destra parlamentare sempre e comunque – quindi “oggettivamente” – fascista, non si manifesta solo tra gli studenti dell’area “antagonista” (cito a caso un termine di qualche anno fa) che da almeno tre generazioni presidiano saldamente la prima linea di molte università italiane, monopolizzando gli spazi e ritenendosi, proprio in forza di questa interpretazione, gli autentici rappresentanti dell’unica democrazia possibile. Non più tardi di quattro settimane fa l’attuale primo ministro francese, Élisabeth Borne, si è ritenuta in dovere di rassicurare i francesi sulla sua attenzione al rispetto “dei diritti dell’uomo ed al diritto all’aborto in Italia”. Sulla stessa scia il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato all’Università di Princeton che, in caso di vittoria della destra, l’Unione avrebbe avuto strumenti per ricondurre gli italiani nei confini della ragione e il 7 ottobre è stata la volta del ministro francese per gli Affari europei, Lorence Boone, a rassicurare che, assieme ai suoi colleghi, avrebbe vigilato affinché siano rispettati in Italia i diritti e la libertà.
Il fatto che queste autorità, soprattutto dopo l’intervento del presidente Mattarella, abbiano poi fatto una vistosa marcia indietro non toglie nulla a una perplessità verso i partiti di destra che è profondamente condivisa fuori dai nostri confini. Perplessità che queste autorità hanno ritenuto talmente acquisita da poterla esternare senza difficoltà alcuna.
Ciò nonostante ciascuno di questi autorevoli interventi è verosimilmente risuonato con forza nell’animo degli studenti “antagonisti”, rinnovando la preesistente volontà di questi ultimi di gettarsi con tutte le loro forze a difesa dell’università. A loro avviso solo uno sciocco o un uomo in malafede non si renderebbe conto di quanto si stiano creando i pericolosi precedenti per una “svolta a destra” e poco importa se in prima fila della riunione contestata e boicottata ci fosse un’associazione di studenti regolarmente eletti e la riunione fosse stata legalmente autorizzata: l’antifascismo – quello vero – non si fa ingannare e loro ne costituiscono la prova.
Il problema di fondo risiede pertanto nel fatto che, non solo dentro le aule di riunione dei collettivi “democratici e antifascisti” ma soprattutto fuori, cioè da Princeton a Bruxelles passando per Parigi, si ritiene che una destra, specie se estrema (cioè se priva alla sua destra di altri gruppi dotati di una minima rilevanza) non possa essere che la riedizione del fascismo sotto mentite spoglie. Una destra che, al contrario, sia risolutamente democratica non è creduta possibile, né credibile. Non c’è, e se esiste, non può essere che irrilevante, strumentalmente usata dal fascismo che sempre si cela alle sue spalle e del quale si va alla ricerca. Magari con anni di infiltrazioni tra le fila del partito di Forza Italia, come nella mesta inchiesta di Fanpage, durata tre anni per captare parole, gesti, battute che rivelassero la presenza del mostro tra le pieghe di questo partito.
Fino a quando una simile rappresentazione continuerà a scorrere oltralpe e soprattutto fino a quando la nostra classe politica e quella culturale non faranno alcunché per liquidarla ma, al contrario, continueranno più o meno esplicitamente a cavalcarla come risorsa certa di consensi, gli antagonisti di ogni sorta si riterranno perfettamente legittimati per precipitarsi a bloccare la “svolta autoritaria” in un’Italia che non sa scegliere e che, optando a destra, vota la propria perdizione.
Altre assemblee verranno impedite, molte non saranno nemmeno progettate pur di non incorrere nelle ire delle vestali della “democrazia antifascista”. Può essere un bene? Non credo. Soprattutto non è irrilevante che in decenni di antifascismo militante la conoscenza del ventennio sia rimasta lettera morta e la moltitudine di studi di ottima fattura, che pure sono stati realizzati, non abbiamo minimamente fatto scuola. Tanto gli studi sul fascismo di Renzo De Felice quanto quelli sul totalitarismo di Hannah Arendt – per citare due esempi tra i più evidenti – non sono affatto pervenuti ad occupare quel ruolo paradigmatico che sarebbe loro spettato.
Me c’è di più: una simile attitudine pronta a riesumare gli stereotipi al posto delle analisi non ha affatto giovato alla sinistra che, proprio su tale strada, ha imboccato il suo viale del tramonto, mentre il contrario si è prodotto a destra, dove proprio le dimissioni dal passato, ampiamente ammesse, hanno registrato per il partito di Fratelli d’Italia uno dei più rilevanti successi elettorali della storia repubblicana. Stiamo entrando in un’era decisamente post-ideologica, ma in questa sinistra sconnessa e travagliata c’è una componente che insiste a non accorgersene e continua ad occupare arditamente la testa di un corteo che si fa sempre più dimesso.
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