Facinorosi di mestiere. Il termine è un po’ desueto, ma sostituisce con un certo stile quello di lavativi. Con l’autunno, quando arrivano le castagne e se ne vanno i funghi, arrivano le occupazioni delle università e di conseguenza delle scuole.
Quest’anno l’occasione era ancora più ghiotta: il glorioso popolo dei rivoluzionari, indignato dall’ascesa di una – dicono – post fascista, protesta non si sa per cosa, forse per cambiare governi scelti con libere elezioni, forse per imporre improbabili e condannate dalla storia dittature del proletariato.
La parola più sbandierata è merito. Essere meritevoli è considerato un di meno, una scelta reazionaria. E dire che è sempre stata una battaglia della sinistra quella di favorire, avendo eguali diritti ai blocchi di partenza, tutti i meritevoli ad arrivare in alto, dove in alto non significa solo potere, ma significa professionalità e quindi professione. Il merito deve premiare l’impegno, non solo i risultati. Ma anche i risultati, perché voglio che chi insegna ai miei figli sia preparato, che un manager sappia fare i conti e che un medico sia il migliore in campo, per affidargli la mia salute.
I ragazzi che occupano Scienze politiche alla Sapienza di Roma non sono ragazzi. I capataz dei collettivi da sempre sono più probabilmente trentenni fuori corso di buona famiglia e benestanti, perché l’università fuori corso costa e chi ha problemi economici cerca di finirli in fretta gli studi. Sono strafottenti, violenti, salvo gridare al poliziotto se reagisce alle barricate. Pasolini l’hanno scordato, o mai letto. Protestano per protestare. Protestano per non studiare. Protestano perché non sanno far altro. E magari sperano che come sardine o qualche foglia d’albero di nuova coalizione si trovi per loro un posto in qualche elezione regionale o nazionale. Sperano di essere linfa della nuova sinistra, e ancora non hanno e non abbiamo capito qual è la vecchia.
Protestano contro un rettore donna, con cui dovrebbero essere solidali, una donna in gambissima, eccellente, nella professione e nella determinazione e nell’apertura all’inclusione e alle libertà dei suoi studenti. Ma questo poco conta, perché accecati dall’ideologia già a poco più di vent’anni hanno scelto come mestiere, appunto, quello dei facinorosi.
Peccato per i più giovani emuli, delle scuole superiori, che vengono come sempre usati e che non comprendono il danno che l’antimeritocrazia fa soprattutto nei loro confronti. Un’equiparazione verso il basso, che permetterà solo, come sempre, ai ricchi o a chi opportunisticamente serve ai potentati di turno di emergere e trovare un posto caldo, in qualche segreteria di partito o ai vertici di qualche pubblica amministrazione.
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