Una vita passata a rincorrere. Questo, in sintesi, il motto del Napoli targato Mazzarri; tra delusioni cocenti e rimonte al cardiopalma gli azzurri mostrano per l’ennesima volta, qualora ce ne fosse ancora bisogno, tutti i loro pregi e tutti i loro difetti. Pregi e difetti inscindibilmente legati a formare un tutt’uno di emozioni; partite piacevoli per gli occhi di uno spettatore neutrale, ma deleterie per cuore e fegato degli encomiabili supporters azzurri; sempre costretti a vivere in bilico, con le palpitazioni sino al 95esimo di gioco. Genova non si sottrae al trend generale, anzi, regala per l’ennesima volta il copione consolidato. La classica partenza d’incontro soft, la secchiata d’acqua e la disperata reazione sino al triplice fischio di Rocchi, quest’oggi accolto amaramente. Meglio però riavvolgere il nastro. Si arriva al cospetto degli amici genoani sull’onda emotiva della qualificazione alle semifinali di Coppa Italia e consapevoli che, dopo il fresco 6 a 1 dell’andata, le motivazioni del grifone raggiungeranno picchi altissimi. La squadra del patron Preziosi, come spesso capita, è completamente stravolta rispetto all’ultimo incontro. Sulla panchina non c’è più Malesani, ma Marino ed in attacco, oltre al ritorno di Palacio, troviamo anche il neo acquisto Gilardino. Sul fronte azzurro, invece, il turno infrasettimanale rievoca la parola turn over e gli incubi conseguenti. Mazzarri concede un turno di riposo a Maggio, Inler e Cavani sostituiti rispettivamente da Zuniga, Dzemaili e Pandev. Insomma la rotazione appare quantomeno più scientifica rispetto ai precedenti esperimenti. In difesa, invece, fa il suo esordio in campionato Britos che sostituisce Aronica, ma quello che appare chiaro già dopo pochissimi minuti di gioco è che non si tratta di uomini. È l’intero approccio alla partita ad essere sbagliato. Al Marassi si presenta una squadra sazia dall’alto di non si sa quale grande traguardo raggiunto; il Genoa corre di più e soprattutto corre meglio lanciando immediatamente amari presagi. In questo istante servirebbe una scossa, un accorgimento, perché il vantaggio del Genoa arriva solo al 30esimo ed il Napoli è in affanno già al minuto 5. Qualcuno diceva: “non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire” ed allora a far fischiare per bene le orecchie del popolo azzurro ci pensa Palacio. Il gol dell’argentino è una perla da apprezzare aldilà di ogni fede calcistica, ma la passività partenopea è lo sfondo perfetto per cacciare dal cilindro numeri del genere.
Ancor più deprimente è vedere il tappeto rosso sul quale viene servito il primo gol di Gilardino in maglia genoana. Il primo tempo finisce 2 a 0 ma è un risultato che sta stretto allo stesso grifone. La ripresa è una partita a sé. Il Napoli prova a fare la partita, ma si espone al contropiede ed incassa il 3 a 0. Da qui al triplice fischio finale si consuma la rincorsa azzurra, alimentata dalle reti di Cavani e Lavezzi nell’arco di due soli minuti. Ci si prova come sempre, buttando punte nella mischia e creando panico e caos, a volte va bene, a volte va male. Oggi, come spesso ultimamente, non gira. Ed è questo il brutto di una vita passata tutta a rincorrere… Prima o poi finisce il fiato.
(Massimiliano de Cesare)