La sosta, si sa, nasconde sempre molte insidie; la sfida di Palermo poi, in un campo in cui gli azzurri non vincevano dal 1969, incuteva un po’ di timore in qualsiasi supporter azzurro dotato di discreta memoria storica. Se a questo si aggiunge che la partita post-natalizia è da sempre indigesta per la squadra partenopea, allora il dado pareva tratto. I pronostici della vigilia però, sono tali in quanto suscettibili di smentita ed il Napoli questo fa, smentisce. Sempre, a priori. Che si tratti di battere il Manchester City degli sceicchi oppure inciampare in casa sulla buccia di banana chiamata Parma. Una squadra che sbugiarda qualsiasi pronostico, favorevole o contrario, amichevole ed ostile. E così eccoli gli azzurri, agghindati di giallo per esigenze di sponsor, scendere sul terreno del Renzo Barbera e confermare ancora una volta che, con un sostituto adeguato, la Pochomania non è una malattia che provoca dipendenza. Sì, perché è ancora una volta Pandev il grimaldello che scardina le difese avversarie, l’uomo capace di mettere in discesa una partita tutt’altro che facile. Poco importa che in tribuna ci sia Vargas, poco importa anche che lo stesso Lavezzi debba ancora ritornare dalla madre patria Argentina. Il Palermo è addomesticato dalle note dei tre tenori in una nuova, insolita, ma ugualmente piacevole, versione. Ridurre però la partita alle geniali giocate del tridente offensivo sarebbe valutazione ingrata e soprattutto ingenua. Una vittoria importante come questa passa per l’apporto di undici uomini, tanto meglio se tra questi spiccano le individualità di Gargano ed Inler, sempre più a loro agio nella zona nevralgica del campo; passa anche per gli episodi favorevoli, vedasi il gol clamorosamente divorato da Vazquez a partita ancora bloccata; passa infine per una solidità difensiva comunque ancora molto discontinua. C’è molto e poco nella vittoria di Palermo; molta felicità ed ottimismo, ma anche poco riscontro pratico perché la distanza con le zone importanti della classifica non si riduce. C’è molto da fare e poco da gioire. Bisogna solo correre e infilare un filotto di partite come hanno già fatto Milan e Inter, dimostrare che anche gli azzurri ne sono capaci. Non per vincere lo scudetto, sia chiaro, quello è compito che spetta ad altri, ma per confermarsi una bella realtà.
Una serie di partite che dovrà servire per aumentare il solco dalle inseguitrici e far sentire il fiato sul collo ad Udinese e Lazio, lì su, ma ancora raggiungibili; sempre ammesso che Di Natale e Guidolin decidano prima o poi di rifiatare, pratica consigliata un po’ a tutti. C’è ancora qualcosa da dire di questa serata? Sì, ci sarebbe molto altro da dire, ma una cosa mi preme e l’ho voluta giustamente tenere per ultima. Gli applausi generano altri applausi e la sportività dev’essere sempre premiata, dunque applausi al tifo del Barbera che tributa una standing ovation al Matador Cavani dopo il gol capolavoro. Sicuramente facile dirlo dalla parte di chi esce vincitore, più triste ammettere che difficilmente su altri campi si sarebbe verificato qualcosa del genere… Ci piace però credere che questo sia solo un biglietto per aprire al meglio una nuova annata, del resto: anno nuovo, vita nuova. No?
(Massimiliano de Cesare)