L’esordio davanti ad una IS Arena stracolma risulta indigesto per il Cagliari che cede il passo agli azzurri al termine di una partita non bella sotto il profilo tecnico, ma incredibilmente intensa sul piano agonistico. Tornare alla vittoria dopo il clamoroso pareggio interno contro il Milan era, se non d’obbligo, quantomeno consigliato. Il nervosismo di Mazzarri, assente anche stavolta nella conferenza stampa pre-gara, e lo stentatissimo incedere degli azzurri nelle ultime giornate di campionato, hanno aperto uno squarcio all’interno dell’ambiente partenopeo. Una frattura nella quale si erano inseriti, come lama nel burro, i ripetuti fischi dei supporter partenopei nelle ultime uscite interne, non sfuggiti al gruppo ed al suo leader maximo. Discutere sulla legittimità di tali fischi per una squadra al momento seconda in classifica e già qualificata ai sedicesimi di Europa League potrebbe sembrare ingeneroso, ma, a mio modestissimo parere, lo è sino ad un certo punto. Può esserlo solo se il motivo delle contestazione si limitasse ad evidenziare un pareggio interno, o un infortunio di Aronica al termine di Napoli-Torino. Lo è di meno quando ci si propone un’analisi più ampia. Prendendo in considerazione un avvio di stagione nel quale, raramente, gli azzurri hanno brillato e convinto a pieno. Un campionato nel quale gli uomini di Mazzarri sono riusciti spesso a portare a casa punti extra, in incontri equilibrati e decisi dall’episodio singolo. La gara di Cagliari rientra, a pieno diritto, in questa ultima categoria. Indubbi i meriti al coraggio e all’impegno, ad una solidità difensiva aiutata dalla tipica fortuna che accompagna gli audaci. Apprezzabile anche la forza mentale, necessaria per reggere il clima infuocato e le pesanti assenze di Cavani, Pandev e Campagnaro. Da rivedere però, ancora una volta, il gioco, affidato alle preziose individualità di Hamsik e Insigne ed inspiegabilmente basato sulle lunghe sventagliate di Cannavaro, già poco efficienti con una prima punta come Cavani, figurarsi quando l’intero peso dell’attacco ricade su un attaccante di piccola taglia come il folletto di Frattamaggiore. Questo è il calcio di Mazzarri, prendere o lasciare. Il risultato prima di tutto: prima dello spettacolo e di un’impostazione offensiva. Un’idea di gioco efficace, ma che costringe alla sofferenza. La vittoria di Cagliari racchiude pienamente il cliché del repertorio mazzarriano. L’ideale che il tecnico insegue nella sua disposizione tattica. Accortezza difensiva sino a secondo tempo inoltrato; ricerca della vittoria con qualche inserimento e cambio tattico propositivo (vedi l’ingresso di Vargas), dunque vantaggio e strenua resistenza, legittimata anche dal consueto cambio conservativo (Dossena per Insigne). È un calcio episodico che sacrifica lo spettacolo, non diverte, ma consente di fare le nozze con i fichi secchi. Si sposa perfettamente con la connivenza di una società che, a più riprese, ha rifiutato di fare il grande salto non cogliendo le opportunità che il mercato offriva. Inquadrato all’interno di questa cornice…
… Mazzarri sta, da ormai tre anni, guidando il Napoli al di sopra delle sue possibilità tecniche, ottenendo risultati ben superiori ai preventivabili. Lo ha fatto, come già detto, sacrificando il gioco e puntando solo al risultato, creando una creatura che sappia speculare sulla disattenzione avversaria. Una scelta legittima che, sotto un piano meramente statistico, rende ingeneroso ogni fischio piovuto dal San Paolo. Quando però imposti una guida tecnica seguendo quest’ideale, rifiutando di fare la partita anche contro un Torino neopromosso o un Milan in evidente affanno, allora il risultato non diventa più un semplice obiettivo da perseguire, ma il fine ultimo e l’unico discrimine tra applausi e fischi.