Allo Juventus Stadium si poteva perdere, ma lo si doveva fare meglio. Nel posticipo della trentesima giornata si consuma il perfetto pesce d’Aprile ai danni della squadra di Mazzarri, mai così piccola ed intimorita da quando sulla sua panchina siede il tecnico di San Vincenzo. Non c’è mai partita perché a steccare non sono solo i tre tenori, ma l’intero coro. Gli zero tiri effettuati verso la porta di Buffon, sono lo specchio di una squadra ancora troppo intimorita di fronte ai grandi stadi italiani (e non). Successe già a San Siro contro il Milan, quando solo la clamorosa ingenuità di Ibrahimovic e la consuegente superiorità numerica evitarono agli azzurri una sconfitta che sarebbe stata meritata. Troppo piccoli per volare così alto, troppo stanchi per credere di poter rompere l’imbattibilità bianconera. Ci si preoccupava della difesa ed in realtà si è dovuto assistere al crollo dell’intera squadra. Attacco in primis. Il copione si consuma già al 23esimo del primo tempo, quando una scena già vista si ripete per l’ennesima volta (la terza in quattro incontri): Maggio, recuperato in extremis e lanciato dal primo minuto, si arrende al dolore e lascia il campo a Dossena. Mazzarri, ci mette del suo, perseverando con il 3-4-2-1 che senza due esterni capaci di coprire tutto il campo diventa un’arma a doppio taglio. Sarebbe in realtà riduttivo restringere la sconfitta al solo infortunio dell’esterno partenopeo, ma con una partita ancora tutta da giocare ed il primo tempo concluso sullo 0-0 qualcosa poteva verosimilmente cambiare. Troppa paura nel cambiare un assetto che non regge, la squadra fatica a tenere il campo ed il primo tempo chiuso in parità ha il solo merito di rimandare la disfatta. Anche perché Pirlo gode di una libertà fatale, Vidal corre il doppio degli altri e sugli esterni Lichtsteiner e De Ceglie hanno il motore di una Ferrari al cospetto dei maggiolini azzurri. Fortuna vuole che lì davanti i bianconeri stentino e che Borriello si lasci prendere dalla riconoscenza nei confronti della città che gli ha dato i natali mancando un semplice tap in di testa. Conte vara nuovamente il modulo a specchio e sottrae Vucinic alla zona calda, disponendolo tra la coppia Gargano-Inler e la retroguardia partenopea. Il fortino azzurro resiste, non si sa come, all’incirca un’ora. Poi la difesa imbarca nuovamente su calcio piazzato. La partita però può avere senso solo con il risultato bloccato, quando Bonucci devia fortunosamente alle spalle di De Sanctis, cala definitivamente il sipario. Viene meno anche la densità in fase difensiva e per una squadra che perde tutti i confronti singoli è un lusso che non ci si può permettere.



Vidal, ma soprattutto Quagliarella effettuano il delitto perfetto alle velleità azzurre ed al morale di tutto il popolo partenopeo. La rete dell’ex, quella più temuta e scongiurata, si realizza a più di un anno dall’addio controverso. La non esultanza è solo l’ultimo capitolo di una saga ancora ricca di dubbi ed incertezze. Fa male, ma è il calcio. Le occasioni per rimettersi in carreggiata sono sempre dietro l’angolo. La sfida di settimana prossima contro la Lazio, però, ha il sapore dell’ultima chiamata al gate Champions. Presentarsi all’imbarco senza Maggio, Zuniga e Gargano ad uno degli appuntamenti più importanti fa paura, soprattutto considerando che nel vocabolario mazzarriano la parola duttilità continua a non comparire. La difesa a 4 non sarà forse la panacea a tutti i mali, ma sicuramente senza esterni capaci di reggere il peso della fascia, può quantomeno nascondere un po’ di limiti. Limiti che rischiano di essere acuiti dalla totale mancanza di esterni che lascia in dote la trasferta torinese. 



 

(Massimiliano de Cesare)

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